The Strokes
First Impressions of Earth
Non è facile parlare del terzo album degli Strokes. Non è facile perché sarebbe semplice stroncare un gruppo che ripropone per la terza volta consecutiva gli stessi suoni e le stesse canzoni. Sarebbe quasi doveroso prendere una posizione ostile.
D’altronde…
D’altronde si fa fatica a trattare male questo First Impressions Of Earth, perché nonostante tutto l’album è piacevole, non certo un capolavoro, sicuramente non sui livelli dell’esordio Is This It e forse nemmeno del seguito Room on Fire ma sicuramente a larghi tratti godibile.
I cambiamenti apportati dal gruppo sono minimi: cambio di produttore (David Kahne subentra a Gordon Raphael), voce più “aperta” e diretta di Casablanca con l’abbandono del “filtraggio vocale” e un (uno solo!) cambio di rotta sonoro netto: Ask Me Anything dove scompaiono chitarre e batteria e si fa largo un binomio archi-voce in un esperimento ben riuscito.
Di fatto gli altri tredici brani del disco possono essere ricondotti al sound ormai diventato tipico della band newyorkese. Inevitabile un po’ di disappunto per l’ennesima occasione mancata di dare una svolta al proprio percorso artistico.
Tuttavia…
Tuttavia succede che quando parte You Only Live Once ti tornano in mente gli episodi gradevoli di Is This It mentre Juicebox, introdotta da un’esplosivo riff di basso (che tanto ricorda il Peter Gunn Theme) suona comunque vibrante e robusta quanto basta per far muovere il fondoschiena. Quanto basta per far capire che gli Strokes sono ancora vivi e vegeti e che, anche se non hanno la minima intenzione di rivedere le proprie coordinate musicali, sono ancora in grado di sfruttare alla grande il filone che hanno contribuito a riscoprire. Heart In A Cage non fa che confermare questa impressione: Hammond e Valensi sfoderano il meglio del loro repertorio con assoli pirotecnici, mentre il basso avvolgente di Fraiture e la batteria, più pulsante del solito, di Moretti accompagnano il cantato decadente e malinconico di Casablanca. Razorblade riporta a atmosfere più solari e estive con un pop trascinante e scherzoso alla maniera del primo album. Fin qui niente da dire. Sarà la solita solfa, ma è fatta estremamente bene. I primi segnali di stanchezza arrivano con l’insipida On The Other Side che però sembra solo una parentesi negativa prima della splendida Vision Of Division: Hammond e Valensi si travestono da Steve Vai e Joe Satriani sfoderando dal cilindro spettacolari assoli ipersonici dal vago sapore orientale. Dopo la già citata Ask Me Anything si ricomincia con la fresca Electricityscape.
La seconda parte è più incostante, con episodi minori come Killing Lies, Evening Sun e Red Light ma l’ascolto rimane comunque accettabile grazie ai crescendo emotivi di 15 Minutes e Fear Of Sleep e alla grazia chitarristica di Ize Of The World con un Casablanca che a tratti riesce ancora a emozionare con i suoi urli più incazzosi.
Alla fine rimane un grosso quesito: perchè allungare a cinquantatrè minuti complessivi la durata del disco per un gruppo che a malapena si era avvicinato ai trentacinque di durata nei due precedenti album? Forse è questo il limite maggiore di First Impressions Of Earth, ancora più del mancato rinnovamento sonoro. Un disco più compatto e breve avrebbe permesso di scartare i molti pezzi degni forse di essere nominate b-side ma non certo di comparire su un lp.
Il giudizio sul disco resta, comunque grossomodo, analogo a quello già espresso per Room on Fire: non aspettatevi cose nuove, i ritmi sono sempre i soliti però anche stavolta nonostante tutto fatti abbastanza bene da essere godibili per gli amanti del gruppo. Chi invece era già rimasto annoiato dai virtuosismi sonori di Reptilia si diriga verso altri lidi musicali. Per quanto mi riguarda in fondo sto ancora discretamente bene su questa spiaggia assolata. Speriamo solo che le nuvole all’orizzonte si diradino al più presto…
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