V Video

R Recensione

7/10

Calva + Io Monade Stanca

Split 12''

Chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Ma quale dei due gruppi è il manipolo di sciancati? Con ogni probabilità entrambi, l’uno un po’ di più, l’altro un po’ di meno. Minime differenze che non spiccano sulla proiezione della loro musica, anch’essa claudicante, delirante, scoppiata. Conosciamo bene gli Io Monade Stanca, appartenenti alla frangia estrema della recente, entusiasmante riscoperta noise-core della scena cuneese – alcuni membri sono in comune con un altro pezzo da novanta della zona, i Fuh – ed architetti di irrealizzabili schizofrenie strumentali (per coloro che hanno ascoltato a suo tempo l’ultimo “The Impossible Story Of Bubu” non servirà aggiungere altro). I Calva provengono invece da Oltralpe e sono diretta conseguenza dell’inarrestabile proliferazione dell’estetica lo-fi da cassetta scalcagnata, applicata alla rigorosa devianza shitgaze e alla tracannata blues da estrema unzione.

Lo split 12’’ in vinile verde che ospita ciascun gruppo, per una ventina di minuti a testa, sembra essere però molto di più di un semplice sfizio da collezionisti o di un gadget post-concerto. Ci permette, anzitutto, di scoprire l’essenza rumorosa del terzetto francese: oscura e tribale nei tam-tam di “Central Pub”, diretta discendente dell’irrequietezza elettronica degli Cheveu in “Nerves”, rilassata ma quasi apocalittica nei toni polverosi di “Urban Cowboy” – l’immagine è proprio quella, a pensarci bene: un bovaro incastrato tra i casermoni –, martellante e krauta nelle (d)evoluzioni di “Melinda 2.0” ed animata da un jazz sintetico nel math singhiozzante di “Kato”. Davvero non male. I loro compari italioti preferiscono, invece, diluire l’anarchia intuitiva del processo decostruttivo del disco sopracitato in un unico, lungo pezzo, “Eravamo Partiti Coi Piedi Per Terra”. Quello che ne esce è ai limiti dell’assurdo: arte dadà totalmente sprezzante di qualsivoglia vincolo, dove la voce è un pigolio che blatera frammenti compositi mentre, alle sue spalle, il tappeto sonoro muta con continuità dallo stoner a cacofonie art-prog (mirabili le tastiere in chiusura), tra riff devastanti ed arpeggi liquidi, in un’omnicomprensiva idea di jam noise fuori da qualsiasi seminato.

Lavoro godibile, spericolato e financo divertente da ascoltare. Volete mettere?

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.