Sonic Youth
Daydream Nation
Il percorso artistico dei Sonic Youth è incredibilmente variegato, anche se ha come trait dunion la ricerca costante e progressiva dellaffermazione del noise rock: si passa infatti dalla neo-psichedelia rumoristica di Bad Moon Rising, ad un avvicinamento ad una forma più vicina a quella della canzone , ovviamente di stampo noise, di Evol, ed infine alla piena maturità di Daydream Nation, capace di fondere le diverse anime del gruppo. Questo ultimo lavoro si fa subito apprezzare per lestrema cura che evidentemente è stata prestata per la sua realizzazione, cosa che si capisce subito dai suoni sempre nitidi e, per quanto possibile, puliti anche nelle sfuriate peggiori. In ogni caso grazie a questo lavoro, i Sonic Youth si vedono aprire le porte del paradiso del rock, affermandosi come band culto e consacrando Daydream Nation come pietra miliare del noise e del rock tutto.
La prima traccia, Teen Age Riot, si apre con suoni diffusi e morbidi che possono ricordare quelli di alcuni lavori precedenti. La voce della cantante Kim Gordon lievita quindi attorniata da dolci accordi e da una batteria che quieta accenna il suo battere irregolare del tempo. Tutto questo è però destinato a durare poco: infatti la chitarra di Lee Ranaldo spezza con risolutezza queste sonorità morbide facendosi più tagliente ed aprendo la strada ad un più veloce ritmo delle percussioni. Ed ecco che alla voce femminile subentra quella maschile, ad inaugurare il caratteristico modo di fare melodia del suddetto gruppo. Melodia, si, ma come anche per i Jesus and Mary Chain, in secondo piano, cioè da scorgere tra la rumorosità, qui ancora abbastanza celata, vera protagonista delle composizioni. Il riff iniziale ci porta con un coinvolgente incedere alla fine del brano.
Facendo un passo indietro è da precisare che ciò che differenzia il rumore dei Sonic Youth da quello dei Jesus and Mary Chain è che questo è nei primi non il risultato di chitarre elettriche distorte a tutto volume volte a coprire la melodiosità, ma sono proprio le melodie ad essere rumorose, poiché costruite su dissonanze, accordi roventi e ritmi implacabili. I Jesus and Mary Chain, quelli di Psychocandy si intende, sarebbero un gruppo banale se si togliesse quel muro sonoro di feroci distorsioni che sovrastano ogni brano.
Detto questo si può passare al secondo brano, Silver Rocket.
Si tratta di un pezzo fragoroso, sostenuto da un eccezionale batterista, e reso così incisivo dalle chitarre lanciate allattacco. Spezzata da improvvise orge di distorsioni allavanguardia, la (rumorosa) melodia riesce comunque ad avere la meglio ed a portarci al terzo brano.
In The Sprawl il caratteristico ed inconfondibile suono del gruppo ci viene così riproposto, insieme alla voce femminile. La batteria tiene il tempo come un metronomo, sorreggendo la cantilena di Gordon, ornata dagli sfuggevoli accordi delle chitarre, lasciate senza freni in un primo ed in un secondo, e conclusivo, momento, libere di districarsi in lunghe pagazioni, a fasi alterne di maggiore concretezza e ad altre di puro sfogo incontrollato.
'Cross The Breeze è inaugurata dai soliti delicati accordi, che però non ci traggono più in inganno, ed infatti alcuni rintocchi di basso preannunciano la sfuriata velocissima di chitarre e batteria, lanciate in un avvincente e logorante duello, sia per lascoltatore che, presumibilmente, per gli strumentisti. Ma ecco che tutto rallenta un attimo, e si concretizza nellennesima melodia sonica affidata alle invocazioni stonate della cantante, che sembrano fluttuare sulle note distorte ed impazzite delle chitarre. Il duello iniziale però ritorna, più violento che mai, a suggellare la conclusione della traccia, lasciata alle evocative chitarre di Ranaldo e Moore.
La quinta traccia, Eric's Trip, vede un ritmo serrato sostenere la voce atonale di Ranaldo, dilaniata dalle scariche elettriche delle chitarre e dalla maestria dello scatenato batterista, che non lascia tregua alle sue bacchette. Si tratta di unestenuante ed ipnotica composizione, davvero rappresentativa delle consolidate qualità del gruppo.
Total Trash è unaltra apprezzabile cantilena sonica affidata alla voce di Ranaldo. Come al solito batteria e chitarra costruiscono un solido piedistallo per gli altri elementi, mentre la seconda chitarra è impegnata a destabilizzare il solido riff portante con i suoi ululati elettrici. Ovviamente non ci si limita alla forma canzone di tre minuti, ed il tempo seguente viene consacrato dai lancinanti lamenti delle chitarre distorte, sempre più confuse e abrasive, in grado di mettere alla dura prova le orecchie dellascoltatore. Come dice Scaruffi, ciò che rende tale unopera darte è la mescolanza di tradizione ed innovazione .ed eccone un lucido esempio: la forma canzone più classica viene superata e arricchita dai più dissonanti e avanguardistici esperimenti strumentali, per un risultato di indubbia rilevanza.
La settima traccia, Hey Joni, di impostazione simile alla quinta, procede veloce e sfrenata, di nuovo bellissima. Forget the past and say yeah canta il cantante, esplicitando in questo modo un vero e proprio manifesto artistico.
Providence è un breve pezzo strumentale, dove il suono di un pianoforte e la voce di una conversazione telefonica sono pian piano sovrastati da un boato ribollente.
Delicati arpeggi aprono Candle, facendoci dimenticare la confusione del precedente pezzo. Un altro ritmo incalzante segna lo svolgersi del brano in cui si fa apprezzare la voce cantilenante e distaccata del cantante. Ma come al solito i nostri si stufano presto di tutta questa compostezza e si lanciano in ardue digressioni strumentali, solitamente in una di preavviso, su cui si reinserisce il tema iniziale, ed una finale, mancante in questo brano, maggiormente sviluppata.
La decima traccia, Rain King, apre con una minacciosa rincorsa tra batteria e chitarra, che, una volta inseritasi la voce impassibile del cantante, si fanno sempre più incandescenti ed estreme. Insomma, si tratta di un'irresistibile ed allo stesso tempo sfiancante galoppata, interrotta da episodiche cadute che invece di scoraggiare il proseguire, incoraggiano un andamento sempre più risoluto ed estremo. Come non rimanerne affascinati?
È ora che la voce maschile prenda fiato, lasciando la parola in Kissability alla voce delirante di Kim, libera di sfogarsi in unatmosfera instabile e trasognante, spezzata dal fervore umoristico immancabile dei nostri cinque strumentisti.
Ed eccoci infine giunti allultima traccia, Trilogy, dalla struttura tripartita, una vera e propria cavalcata di dissonanze. Le chitarre partono subito senza esitare nel frenetico e lancinante hardcore di The Wonder, dando forse il meglio nel primo stacco strumentale, impegnandosi in districati attacchi frontali contro la batteria. La voce si fa un attimo rabbiosa, assecondando lumore delle chitarre, ma subito rallenta insieme a queste, aprendo alcuni minuti catartici, segnati dallintrecciarsi dei suoni elettrici instabili degli strumenti. La voce giunge poi per il secondo tema del brano, Hyperstation, in quiete apparente, anche se a fasi alterne. Le parti strumentali qui hanno la meglio e ci accompagnano senza che noi ce ne accorgiamo agli undici minuti e 30 secondi conclusivi di questo secondo tema. In Eliminator Jr., ultimo capitolo di questa trilogia, tutto cambia: liberatasi dai vincoli autoimposti fin qui evidenti, un esplosione di furia dilania la parte più dura dellintero pezzo, affidata alla voce della cantante, più adatta a sostenere il peso del rumorismo qui protagonista. Si tratta di rabbia incessante quella che stiamo ascoltando, è lo sfogo finale, quasi un rito per scrollarsi di dosso tutta la tensione accumulata nei 70 minuti dellalbum.
Questi quattordici minuti sono, a pensarci bene, il riassunto di tutto ciò che si è ascoltato in Daydream Nation, e sono anche il manifesto delle generazioni più inquiete degli anni 80.
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