R Recensione

8/10

Thurston Moore

Trees Outside the Academy

Quando pensi di aver postulato un teorema inattaccabile arriva sempre l’eccezione a fregarti la regola. Un gruppo dopo dieci anni diventa fuffa. Un artista in generale può durare al massimo vent’anni. La storia sembra lì a dimostrarlo. Poi invece ci pensi un attimo e scopri che i Radiohead sfornano ancora capolavori dopo quindici anni dal primo disco e Thurston Moore è ancora in grado di estasiare dopo più di un ventennio di scorribande rumorose. Si ritorna allora in sé e si comincia a riflettere sulla carriera dei Sonic Youth: oltre venticinque anni di attività e una miriade di album sempre interessanti, a volte capolavori, a volte splendidi, a volte bruttini, a volte poco meritevoli, ma sempre interessanti. Talvolta discutibili, come i vari Syr in cui esplorano l’avanguardia passata-presente-futura. Ma cosa bisogna dire ai Sonic Youth? Li si può forse accusare di qualcosa? Di fare musica troppo buona? Di essere ripetitivi? No, per carità, assolutamente! Anche se è vero che certe canzoni e certi ritmi sono ormai caratteristici di una delle band più importanti dell’underground musicale americano. Ascolti un pezzo, un ritmo e sai già che è loro, solo fai fatica a ricordarti se era in Evol o in Murray street.

Il problema dei Sonic Youth è un po’ questo: essere rimasti imprigionati in un suono, in uno stile. Ma è così grave? Probabilmente è una cosa più che normale. Cosa si può dire allora del secondo disco solista di Thurston Moore, storico chitarrista-cantante del gruppo? Intanto che il suo primo album risale a più di dieci anni fa, nelle idi dei ruggenti ’90s (Psychic hearts, 1995), e sembrava un piccolo gioiellino impaurito che, non si capisce come né perché, rimase abbandonato e solitario fino ad oggi, quando Moore, arrivato alle soglie del mezzo secolo d’età, decide di tornare a vestire i panni del songwriter. Cinquant’anni e non sentirli…quando si dice che si è giovani dentro…c’è sempre un fondo di verità in questi proverbi della nonna. E allora eccolo Trees outside the academy, disco che suona fresco e giovane, ma allo stesso tempo maturo e raffinato. E soprattutto, sembra molto distante dal sound Sonic Youth classico cui accennavamo pocanzi.

Sarà perchè non strepita quasi mai  Moore, anzi sembra aver catturato l’essenza di Lou Reed e del Mark Lanegan degli esordi da solista. Il suo cantato è talvolta roco e grattato (Never light) e sempre intenso e evocativo, nonostante un tono spesso distante da menestrello di strada. Prendete due pezzi come Frozen e Silver Blue: okay la differenza enorme è che nel primo c’è Mascis alla chitarra che sputa riff cavernosi e lucidi assoli ma in entrambi prevale soprattutto un senso di irrealtà, un’atmosfera mistica ed eterea, alla cui creazione sicuramente contribuiscono anche l’incantevole violino di Samara Lubelski e i leggiadri arpeggi di chitarra. Incanta e allieta dolcemente Thurston Moore solista.

Prendete Honest james: il ritorno del pathos grunge, come se i Sonic Youth più teneri si incontrassero con l’ultimo Cobain. Bastano pochi semplici accordi semi-acustici in grado di penetrare nell’anima e un testo che parla d’amore per creare uno dei gioielli del disco. Altro capolavoro è sicuramente la traccia omonima: Trees outside the academy è un infuocato strumentale in cui è sorprendente la capacità di Moore di appassionare con una sfuriata chitarristica giovanile in pochi accordi mai violenti, nonostante varie escursioni noise, cambi di ritmo più metallici e un calibrato finale in crescendo. Non mancano in effetti anche i momenti noise talvolta un po’ fini a sé stessi (Free noise among friends, American coffin) talvolta invece ben incastonati in canzoni pop di pregevole fattura (Fri_end, Wonderful witches, Off work), quasi a ricordare che comunque lui, Thurston Moore, nonostante i quarantanove anni suonati, rimane sempre un ragazzo sonico con la voglia di sperimentare, stupire e soprattutto fare un gran casino della madonna. Difficile però alla fine dell’ascolto non pensare che i risultati migliori siano in brani come The shape is a trance, dove viene fuori tutta la maestria e la grazia sublime degli arpeggi di sir Moore. Forse il ragazzo si vergogna di produrre pezzi tanto sofferti e raffinati, ma francamente la strada intrapresa negli ultimi dischi dei Sonic Youth (Sonic nurse, Rather ripped) sembra confermare che un ammorbidimento del suono possa produrre ottimi risultati.

E allora rimane la speranza che non si debba aspettare altri dieci anni per il terzo disco solista di Moore. Ma mentre scriviamo queste ultime battute rimaniamo certi che tra dieci anni potremmo ancora trovarlo lì in copertina con una t-shirt attillata e la capigliatura spigliata a caschetto. Manco fosse un ragazzino di quindici anni. Proprio vero che l'età uno se la deve sentire dentro.

V Voti

Voto degli utenti: 6,3/10 in media su 3 voti.
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REBBY 6/10
Cas 7/10

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