Arandel
In D
Come un misterioso eroe mascherato. Arandel, anonimo, imperscrutabile. La sua vera identità è rigorosamente celata al mondo, e la maschera di ferro con cui costruisce la propria immagine è la sua stessa musica. Compare praticamente dal nulla in questo 2010, consegna al mondo un'impronta profonda con su scritto "In D", e nel nulla ritorna, lasciando che i rumours intorno a questo album si moltiplichino incontrastati.
Disco difficile. Alieno, indefinito, fuori dal tempo, senza una precisa origine. Minimal solo ad un'occhiata superficiale, nasconde un substrato di stili ed effetti differenti che rendono impossibile qualsiasi categorizzazione, e trasformano il suo ascolto in un'esperienza non solo più interessante, ma anche più impegnativa. L'anonimato, la dimensione di vuoto insolubile era in effetti il terreno più fertile in cui partorire questa strana creatura, e diventa un fattore importante che ne plasma la forma.
Insondabile monolite kubrickiano, "In D" è un disco corposo, contaminato, (ri)pieno. Occorre pazienza. Come quella di Sergio Leone: inquadrature spalmate, primi piani in blocco statuario, cura dei dettagli; e infatti volano i cespugli all'ombra del Saloon, presagio di un duello imminente... ma fittizio, terminato ancor prima che si possa dire "a te la scelta dell'arma"; un western inghiottito in un ritmo soft-electronic impalpabile, fatto di samples ambient e drum machines, una intelligent music troppo orientata allo stimolo cerebrale perchè possa ancora considerarsi IDM, nonostante una morbida pulsazione ne accompagni volentieri l'incanto. E tutto questo è solo "#1", traccia di apertura, per intenderci.
Ma basta proseguire per perdere del tutto le coordinate spazio-temporali: si viaggia, è proprio il caso di dirlo, tra rimembranze dub e voci sospese, come fossimo dentro una bolla d'aria ("#5"), parentesi di mistico esoterismo teleguidato da arpe digitali, bastoni della pioggia sciamanici e voci degli spiriti terrestri ("#6") e attimi di space music minimalista dalla forte caratura emozionale ("#7").
L'uomo-non-uomo, la donna-non-donna, sì insomma Arandel, riesce a consacrare "finchè morte non li separi" melodia, rumore e beat; da perfetto geometra, fa quadrare piccole sessioni simil free-jazz tra battiti sospesi di batterie, brusche interruzioni ed evoluzioni glitch psicotrope tanto potenti da sconfinare nell'allucinazione ipnagogica ("#9").
Sempre più padrone del proscenio, questo Fantasma dell'Opera elettronica ci ammalia con classe muovendosi disinvolto sino ai tetti più alti dell'avanguardia, con la grazia di un felino francese e la consapevolezza di un veterano di pace: chitarre sature, pianoforte al cristallo, dolci urletti infantili, new age ipnotica... ("#10").
E così via, senza un solo momento di pausa, con strumenti di ogni tipo che si rincorrono tra loro e stratificazioni perfettamente cesellate, Arandel l'unknown maneggia con cura anche l'acqua, come fosse padrone di un waterworld plasmato a ogni tocco di xilofono ("#8"). Davvero un artista delizioso, che non esagera mai con effetti-sorpresa forzati nè esaspera il tono, il tiro o la portata della propria res musica; semplicemente lascia che questa fitta ragnatela di trip parli per sè.
A dire il vero, entrare in ogni singola sfumatura di "In D" è impresa tanto intricata quanto superflua. La chiave di volta dell'intero album, il suo basso profilo sonoro, si rivela affrontandolo nella sua compatta totalità: un viaggio tra prismi e rifrazioni, tonalità opache e riflessi abbaglianti di luce; capace come pochi altri di entrare nella soggettività dell'ascoltatore, ma ricco nello stesso tempo di stimoli neurali, laddove i giochi di scomposizione e ricomposizione dei pattern e delle trame melodiche non diventano altro che mirabili spettri radioattivi.
"In D" è un album ai limiti del narcotismo, da ascoltare a notte fonda, tra sensi annebbiati e difficoltà nel focalizzare l'attenzione, possibilmente a stretto contatto con la natura incontaminata.
E se la musica è in grado di innamorare, questo è il disco che può farlo.
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