R Recensione

4/10

Ian Brown

The world is yours

Posso ammettere senza alcuna esitazione che il mio gruppo preferito sono (stati) gli Stone Roses.

Posso dire senza paura che gli Stone  Roses restano i caposcuola di quella che negli anni ’90 fu l’esplosione di un genere come il brit- pop corroborato da sbavature rave, dance, già peraltro presenti nei dischi degli Happy Mondays, portato in auge  dai  sobborghi meridionali di Manchester città lambita dal fiume Mersey, la stessa acqua che bagna la città di Liverpool.

Dicevamo, gli Stone Roses.

Inutile dire che dopo l’uscita del primo singolo, So Young del 1985 furono in molti ad imitarne le movenze, gli abiti, l’approccio easy alla musica come ai testi, quel modo morbido e vagamente danzereccio di Ian Brown di stare sul palco. Oasis, Kula Shaker, Pulp, Blur solo per citare i più nomi altisonanti.

The Stone Roses è l’album manifesto dell’intera scena “Madchester”, la summer of love formato ridotto dell’era post- Joy Division,  post- suicidio dell’inquietante Ian Curtis.  

Dopo lo sbarco, la loro sarà una carriera gloriosa, segnata dalla discontinuità, da apici e da parabole discendenti.

Ci hanno regalato un’esigua manciata di dischi bellissimi, che contengono in nuce l’essenza più genuina dello spirito di quegli anni: agitatori sonici come Tony Wilson , dance e rock, giri di boa musicali che si prendono sotto braccio dagli ’80 in poi, sogni di deejayismo, ma più di tutti l’Hacienda, locale storico in cui performarono i Nostri ( e moltissimi altri) , ovvero il nuovo pane del suddetto Wilson, genio che purtroppo, uno schifosissimo cancro c’ha portato via solo qualche mese fa.

L’Hacienda era diventata meta per i pellegrini del rock, del groove, dei New Order, degli Smiths, della scena Madchester, dell’ecstasy e degli smile e, nel frattempo, della gay culture. Aveva tirato fuori dal letto anche i più derelitti, quelli con la spina nel fianco, al ritmo di house e rock, connubio di due generi incrociatisi in quei corridoi e da quei corridoi uniti indissolubilmente.

Prima di andarsene per sempre, gli Stone Roses avevano dimostrato che un post- Smiths era possibile pur se compressi tra il 24 hours party people e Panic.

The Second Coming fu il loro de profundis, condito da un delirante comunicato che recitava: “L’America non ci merita ancora”. Gli Stone Roses si dimenticano per sempre di essere gruppo sfasciandosi definitivamente per le solite, annose noie manageriali / legali. Tutto questo per dire che il quinto disco di Ian Brown,The World is Yours’ ( titolo peraltro banalissimo)  rappresenta un autentico tradimento rispetto a tutto questo oppure il modo più coerente di far evolvere la propria musica, “impegnata” dal perenne uso degli archi. E così Eternal flame è esperimento casalingo di ‘drama’  hip hop,  senza però perdere la velleità di scimmiottare certi singoli dell’ultimo Paul Weller (Sister Rose), o del Jamiroquai (Save us) d’inizio secolo. Ma con più malizia, verbosità, pesantezza, edulcorazione. Disco inutilmente prolisso.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Alessandro Pascale alle 14:20 del 14 novembre 2007 ha scritto:

un paio di notazioni

scrivi molto bene, mi piace il tuo stile e sei anche molto competente in materia, però per quanto io sia un sostenitore delle parentesi storiche ad introduzione di una recensione mi sembra che qui tu abbia un pò esagerato. Hai lasciato praticamente una manciata di righe per la recensione del disco e per di più l'analisi retrospettiva non prende nemmeno in considerazione la carrriera solista precedente di ian brown.

prettyvacant, autore, alle 16:13 del 14 novembre 2007 ha scritto:

a dire il vero

io non conosco i dischi precedenti di Ian Brown. Però conosco bene gli stone roses, e mi sembra che ian brown abbia fatto il passo +lungo della gamba. Epoi volevo soffermarmi sul passato e appiattire i lavori presenti. non so se questo esperimento mi è riuscito ;P