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R Recensione

8/10

Ólafur Arnalds

... And They Have Escaped The Weight of Darkness

Tutto si fa rallentato, i nostri sensi si dilatano. Assaporiamo un po' il buio. Lo annusiamo, lo viviamo con gli occhi e con la mente. Diventiamo noi stessi semplice tonalità di scuro: più scuro: più noir: più intimo: pece nella pece.

Il modern-classical è anche questo: una stanza spenta, impolverata, magari un po' trasandata. Un rifugio sicuro dove distendersi e lasciarsi andare, seguendo il corso sinuoso di un immaginario fiume musicale.

Com'è sexy la notte. E così, immersi nel blu scuro, accade che veniamo tentati da Ólafur Arnalds, maschilissima e giovanissima Eva del XXI secolo, portato sotto le luci dei riflettori (anzi, del paradiso) dai cari Sigur Rós, con i quali condivide, guarda caso, la stessa propensione ambient-campanellistica-romantica. Le sue mele sono il piano e il violino; il suo Eden, l'Islanda.

"Ancora l'Islanda?" chiederete voi. "Ancora l'Islanda" risponderò io. E' la terra-musa degli artisti, inutile girarci intorno. Certo, nell'ultimissimo periodo vive forse il momento più brutto della sua vita "naturale", ma tant'è, rimane sempre immensamente affascinante ed evocativa. Eccolo dunque, il nostro personalissimo inno al Sole e alla Terra ("Þú Ert Sólin" e "Þú Ert Jörðin"), filtrato dai vellutati minimalismi pianistici e ritmici del compositore multi-strumentista islandese e ampliato da preziosi ricami orchestrali (violino e violoncello): intimamente nostalgico, profondamente riflessivo.

Qualcosa è cambiato: il sound, per esempio. Meno tormentato, elettronico, tragico, stridente di "Dyad 1909", il corpus musicale si fa qui più corposo, pieno, caldo, come un sorso invernale di vino d'annata. Si sprecano i richiami agli ultimi Balmorhea (quelli del bellissimo "Constellations", per intenderci). Come in un notturno a cielo aperto, infatti, le note aprono le porte di un universo stellato, mentre natura e alberi e foglie e animali dormono in placida quiete; gli accordi degli archi delineano lo spazio, la dimensione di questo mondo pascoliano, offrendosi come collante tra carezze neo-classical e accenni ("Loftið Verður Skyndilega Kalt") ed esplosioni vere e proprie ("Tunglið") degne del miglior post-rock.

La sublimazione del bello e molto altro: un pianoforte-metronomo che scandisce i tempi di una privata commozione paesaggistica, laddove il violino riscalda i nostri cuori dal dolce trasporto contemplativo di "Kjurrt", sfumata sul finire da quelle che potrebbero essere gocce di pioggia su un tetto o l'applauso di un pubblico riservato. La stessa tecnica raindropistica che ritroviamo all'inizio di "Gleypa Okkur", suggestivo affresco ultraterreno dettato da ritmiche sostenute-cedevoli e dagli echi in lontananza di chitarre vagamente psichedeliche; anche Gilmour diventa islandese per un istante...

E che dire del dream-pop luccicante e glitteroso di una "Hægt, Kemur Ljósið" para-Sigur Rós? Che troppo miele fa male? Vero, e chissenefrega. Cosa pensare, poi, del delicatissimo chamber-post-rock simil Rachel's di "Undan Hulu"? Che un vago odorino di ripetitività potrebbe farsi strada tra i nostri nasi chiusi, raffreddati da cotanta magnificenza sonora? Vero, e chissenefrega.

Come porsi di fronte all'eclettico gioco musicale in salsa ambient, electro, modern-classical di "Þau Hafa Sloppið Undan Þunga Myrkursins"? Che il troppo citazionismo reverenziale (ancora Sigur Rós, qualcosa di Eluvium) può alla lunga risultare ridondante, o peggio, cancerogeno? Vero.

E chissenefrega.

Gotevi piuttosto quest'album senza attorcigliarvi troppo la mente in millemila sadiche torture snobbiste e intellettualoidi. L'ingenuità, alle volte, paga.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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synth_charmer alle 10:08 del 22 maggio 2010 ha scritto:

ottima la recensione! Non vado matto per il genere, ma le tracce postate sembrano interessanti. Chissà..

Filippo Maradei, autore, alle 13:28 del 23 maggio 2010 ha scritto:

Se vuoi un consiglio, cerca di recuperarti anche "Dyad 1909" di Arnalds: diverso, più "acido" e drammatico, quasi noise. Due dischi eccezionali

tramblogy alle 15:18 del 4 ottobre 2011 ha scritto:

Mizziga

Lo sto ascoltando...