Rachel's
The Sea And The Bells
Cosa siete pronti a sacrificare per una barca, un mare e un'odissea? Abbiamo già esplorato le profondità delle acque con le "Ocean Songs" dei Dirty Three, ma non è bastato; addio verticale, buongiorno orizzontale.
Arrivare a Itaca per ripartire da Itaca.
Cosa vuole da noi il bianco candido-sporco di queste mura cittadine? Non è sazio delle nostre lunghe passeggiate, delle nostre claustrofobiche riflessioni incise ormai nel marmo dei suoi scalini? Beh, che si accontenti pure delle urla di giovani fanciulli in festa: un cerchio, correre correre, paia di sandali su ciottoli.
Noi già lontani dalle grida di pelli lisce: il porto e gli ormeggi, odore di canapa libera. L'imbarcazione procede lenta, addormentata in un mare che la culla, ma qualche minuto paziente e la città, la civiltà, le mura scompaiono completamente dietro di noi.
Ora ci ricordiamo di respirare: una bocca e un naso per l'aria, movimenti del torace e il gusto di grammi di salsedine che entrano... "ingoiare" verbo esatto, come la Balena, come Pinocchio.
Sul palato un sapore conosciuto. Un'intro di pianoforte a vele spiegate, accentuato dai battiti della batteria, arricchito dai ricami barocchi degli archi. In tutto e per tutto i Balmorhea di "All is Wild, All is Silent", se non fosse che... Cosa? Una brusca interruzione, denti di legno che digrignano; e poi la falla sul vascello: minacciosi, ora, il pianoforte e i violini! Per fortuna, riusciamo a coprire alla bell'e meglio il buco maligno. Ore e ore di MacGyver spese bene ("Rhine & Courtesan").
Asserviti al volere delle onde, ci sediamo a mirare l'orizzonte, le mani appoggiate sul legno consumato della barca, fresco e irregolare e scheggiato, la testa persa tra i campanellini "xilofonati" mossi dal vento e un pianoforte tornato romantico ("Tea Merchants").
Gli occhi: aperti. Le sopracciglia: inclinate. La bocca: serrata. L'equilibrio perfetto di un volto che chiede solo calma malinconica, accontentato subito dal violino e dal pianoforte, presagi dell'Ólafur Arnalds che verrà... ("All is Calm").
Improvvisamente un eco nel mentre. Gettiamo uno sguardo curioso intorno a noi: eppure niente, eppure tutto; solo mare. Ritorniamo staticamente nostalgici. Ecco un altro! No, non ci siamo sbagliati, spasmi di tromba nell'aria! Neruda caro, Neruda bello: richiama la nostra attenzione con archi patetici e un pianoforte molto "piano" e poco "forte". E per dire cosa? Che "è venuto a contare le campane, che vivono nel mare, che suonano nel mare, dentro il mare... per questo lui è qui"("Lloyd's Register").
Un'opera, quella dei Rachel's, interamente dedicata all'omonima ode del poeta cileno. Lasciamo allora aperte le finestre dell'anima, cosicchè la parola (non) scritta esca e si perda nel mare, come suggerito nel libretto interno alla confezione del disco.
Dopo il richiamo silenzioso, i gabbiani. In alto, sopra il nostro blu marino, che urlano perchè disorientati dal caos di violini distorti e gravi ("Cypress Branches"). Dopo i gabbiani, le sirene: Ulisse! Ulisse! Ulisse!!! Stridore di viole e violini, un po' di pazzia ci tornerà utile ("The Sirens").
Le loro grida portano la notte nel mare ("Night at Sea" e "Letters Home") e con essa l'oppressione di registrazioni campanare inquietanti: non il Tibet amici, non il Tibet.
"Potrebbe andar peggio". "E come?" "Potrebbe... piovere": grazie Igor, detto fatto. Un lampo, un tuono e una cascata di pioggia; delle campane in sottofondo e una voce, ultraterrena, che pensa e ripensa al mare: altro grandissimo, cupissimo field recording ("To Rest Near to You").
Ma non è in arrivo una tempesta. Basta luoghi comuni sulle Odissee. Quello che abbiamo intrapreso è un viaggio ben più complesso e difficile di una serie di semplici naufragi in terre straniere; è la contemplazione del "bello che finisce", della musica che si ritira, pian piano, come la risacca del mare; è il profondo e drammatico senso d'insoddisfazione emotiva che pone fine alla nostra amata-odiata Odissea ("His Eyes").
Ritornare a Itaca per ripartire da Itaca.
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