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R Recensione

8/10

Stefano Ianne

Elephant

In un tempo storico apocalittico e nevrotico come quello in cui viviamo, con le corde emotive sedate da violenza e pornografia, tutta una serie di artisti, definiti minimalisti senza tener conto delle enormi diversità che li distinguono – pensiamo alle sottrazioni cinematografiche di Kaurismaki o ai Sillabari di Parise o ai racconti di Carver o all’eleganza crepuscolare dei Black Heart Procession o ancora alla grazia analgesica dei Low –, persevera nella ricerca di un antidoto allo strillare incessante, un antidoto fatto di pause, di sottrazioni e silenzi. A distanza di due anni dall’uscita dello splendido Variabili Armoniche, che ci aveva presentato una voce davvero nuova nel panorama della classica contemporanea italiana, Stefano Ianne torna a raccontare le sue storie musicali che, partendo proprio dai dettami minimalisti di scuola americana – Philip Glass, Michael Nyman, Steve Reich, Terry Riley – esprimono con un’intelligenza unica il moderno senso di privazione.  

Interamente realizzato da una registrazione live che ne esalta il carattere sinfonico – concerto tenuto a Milano al teatro “Dal Verme” -, “Elephant” conferma quanto il talento melodico e arrangiativo di Ianne, valorizzato dalla direzione orchestrale di Valter Silviotti, consenta di fare del minimalismo esclusivamente un punto di partenza, un trampolino di lancio per una brillante commistione di generi. I loop, spesso pianistici, sui quali si dispiegano i brani vengono sormontati dalle variazioni orchestrali che a volte sembrano sostenerli nell’intento comunicativo (“Mare Nostrum”) e altre osteggiarli (“Pathos”), come in una battaglia interna che coinvolge e logora l’ascoltatore senza lasciare scampo. I pezzi sono ora estremamente filmici (“14 Juillet”; “Elephant”), ora ammiccano alla fascinazione delle scale arabe (“Praestigium”), ora lasciano lo scenario a un piano scarno e lancinante (“Autunno e le foglie”). Tanta varietà non deve far pensare a un calderone sconclusionato di immagini sonore: l’impressione è che Ianne abbia ormai trovato una formula personalissima che gli consente di piegare qualsiasi espressione musicale alla propria filosofia artistica e il risultato è un lavoro coraggioso e coerente.  

Come in un buon racconto, i brani di Ianne non necessitano di drastiche uscite dai binari e considerevoli variazioni ritmiche e melodiche, ma contengono nell’incipit l’essenza stessa di ciò che sarà, degli sviluppi (“Elektronische Spiel”, la più audace del lotto). Eppure il compositore padovano va oltre, elaborando i suoi temi attraverso l’utilizzo di un flusso di coscienza che è urgenza creativa e che ricorda più le forme e le strutture esplosive del post rock che non il minimalismo vero e proprio, andando così a coniare un linguaggio che è colto e pop, sperimentale ma altamente evocativo. Scenari nostalgici e autunnali creano uno stato di malinconica rassegnazione, ma poi, veleno e cura al tempo stesso, i brani di "Elephant" si mostrano ricchi di aperture melodiche dolci e commoventi (“Amundsen” su tutte), come fili di luce che riescano a filtrare tra le foglie.  

Ultima nota sul video che accompagna il disco, costruito con la sequenza cronologica di intense tavole dai toni che ricordano da vicino la musica: una felice via di mezzo tra il miraggio del pastello e l’uggiosità del seppia.    

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Voto degli utenti: 8/10 in media su 2 voti.
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