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R Recensione

6/10

Beady Eye

Different Gear, Still Speeding

Il progetto Beady Eye ha le sue basi in idee artistiche piuttosto semplici messe in atto da musicisti che viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda, cosa che probabilmente differisce i componenti di questa nuova band dall’appendice autoritaria e – negli ultimi tempi – insofferente al timone degli ibernati Oasis che risponde al nome di Noel Gallagher.

L’eterna e boriosa diatriba tra fratelli si arricchisce di questo nuovo capitolo che già in partenza ha un buon merito: riportare la musica al centro del dibattito. Così mentre Noel Gallagher cura il suo orticello ribadendo fieramente che la parte dell’uomo offeso e ozioso gli calza a pennello, Liam Gallagher prova a dimostrare con i fatti di essere qualcosa di differente rispetto al rissoso fannullone dipinto dalla penna dei media e dalla viva voce del fratello maggiore.

Per la verità già negli ultimi LP del combo di Manchester il fratello artisticamente meno dotato si era messo d’impegno per dar modo al suo talento di sbocciare, contribuendo ai dischi degli Oasis con dei pezzi scritti di suo pugno che mostravano tanta buona volontà finalizzata alla creazione di risultati finali bonariamente definibili come altalenanti con un interessamento – per buona parte di essi – della sfera mediocre del giudizio.

E altrettanto – ma con output più godibili – è stato fatto dagli altri Oasis ora former dei Beady Eye, Gem Archer e Andy Bell. Anche se con un pizzico di malizia ci verrebbe da dire che i contributi offerti da questi due musicisti alla causa Oasis riflettevano in modo sbiadito quello che è il loro rispettabile curriculum musicale, ma ad onor del vero va osservato che all’interno della band potevano sussistere degli ordini di scuderia che impedivano ai due di lanciarsi in orchestrazioni più vicine alle loro attitudini o in canzoni che in qualche modo potessero attirare di più l’attenzione dell’ascoltatore rispetto a quelle scritte da The Chief.

Queste congetture trovano parziale conferma nella qualità di queste 13 elaborazioni chiamate a raccolta per la prima uscita discografica del quartetto inglese (ai tre uomini già citati va aggiunto anche il batterista chiamato in causa da Noel Gallagher negli ultimi tempi, quel Chris Sharrock già dietro le pelli nel primo indimenticabile e indimenticato capolavoro dei La’s) lontano dal celebre marchio Oasis. Il mood, l’atmosfera e la registrazione che caratterizzano “Different Gear, Still Speeding” hanno il classico odore dell’opera prima: tanta carne al fuoco, urgenza compositiva, entusiasmo ed esuberanza nell’esecuzione delle canzoni.

Ed è proprio questo aspetto a differenziare queste canzoni dalla recente produzione degli Oasis e ad affiancarle per spirito e attitudine a quelli che sfornavano b-side più belle dei lati A a ridosso del triennio 94-95-96. Il modo in cui i Beady Eye hanno anche scelto di distribuire la loro musica, dispensando 33 giri e video in abbondanza ben prima dell’uscita del disco e registrando il tutto in presa diretta con un metodo molto vicino al “Buona la prima” li rende più frizzanti e amabili di quanto si potesse preventivare.

Sono proprio i brani in cui la band procede a briglie sciolte a colpire per freschezza e varietà, anche se per cercare un’offerta musicale che brilli per innovazione e originalità si dovrebbe volgere il proprio sguardo altrove. Ma del resto facendoci due rapidi conti in tasca, ci vuole poco ad arrivare alla conclusione che nell’odierno business musicale si sprecano gli esempi di band che oltre a non proporre nulla di originale sono carenti anche dal punto di vista qualitativo, energetico e del coinvolgimento emotivo.

I Beady Eye sono fuor di ogni dubbio l’evoluzione ultima di una proposta musicale ampiamente riconducibile a determinati canoni stilistici, l’ultimo anello della cui catena sono proprio quegli Oasis a cui nessuno vuole paragonarli ma che senza saper ne leggere ne scrivere si è in dovere di affiancarli a causa (o grazie) dell’inconfondibile timbro vocale di Liam Gallagher che, nel 2011, a ben 17 anni dal suo deflagrante esordio da singer offre in questo LP la sua indubbia miglior prestazione vocale dell’ultimo decennio. Vuoi per le motivazione di rivalsa, vuoi per dei compagni di band che senza grandi sforzi d’immaginazione di noi non-addetti-ai-lavori sembrano metterlo a suo agio sia per affinità musicali che per rapporti interpersonali (per Liam l’assenza di Noel è sinonimo di un’imprevedibile seconda giovinezza artistica), vuoi per gli stimoli che inevitabilmente un progetto nuovo di zecca porta con sé, fattostà che il minore dei Gallagher rappresenta la vera “gear” in più di questa band.

Il disco con un certa sorpresa (alla fine si parla degli Oasis privi di uno dei più grandi songwriter del pop moderno) offre un livello qualitativo quasi costante lungo tutto il suo minutaggio, seppur non mancano dei brani la cui assenza non sarebbe stata pianta con chissà quanta disperazione. Ed è in quest’ottica che l’applauso va ad un Liam Gallagher del tutto umile e lungimirante. Avrebbe potuto incidere un disco solista, coadiuvato da turnisti, producer e dei songwriter pagati a peso d’oro invece, mantenendo l’idea di band, ha messo da parte la gloria personale a favore della musica.

La scelta di affidare una posizione strategica come la terna iniziale del disco ad Andy Bell e Gem Archer che firmano le apprezzabilissime Four Letter Word (furba ed elettrica al punto giusto), The Milionarie (la più bella e incalzante) e The Roller (singolo apripista che alla lunga può risultare stucchevole, ma che ha dei discreti cambi di ritmo), mettendo a disposizione del loro songwriting un canto ottimamente secco e professionale, è qualcosa che gli rende assoluti onori e che lascia intuire la cura dietro il progetto.

Scorrendo la tracklist le canzoni di cui ci si innamora al primo ascolto sono senz’alcun dubbio numericamente maggiori di quante si lasciano ascoltare con indifferenza, il numero di quelle che portano a spontanei repeat (Four Letter word, The Milionarie, Bring The Light, Kill For a Dream e Three Ring Circus) assicurano un voto sufficiente e quella che resterà impressa nella memoria per a lungo, “The Beat Goes On”, rappresenta un valore aggiunto prezioso.

E se nel gioco del miglior compositore e paroliere del gruppo a vincere con ampio distacco e come preventivabile alla vigilia è Andy Bell (che del resto negli Oasis aveva già deliziato gli ascoltatori con un paio di chicce nascoste nella recente discografia), subito dietro di lui c’è da porre la penna di Liam Gallagher, sempre più orientata agli anni 60 che propone la fulminante “Bring The Light” e altri tre pezzi, tra cui “The Morning Son”, cui manca una leggera squadratura d’insieme ma che si pone con garbo in chiusura di LP.

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Voto degli utenti: 3,9/10 in media su 7 voti.
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Teo 6/10
ThirdEye 0,5/10

C Commenti

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bill_carson (ha votato 4 questo disco) alle 10:30 del 26 febbraio 2011 ha scritto:

fastidiosamente epigonico

io non ho nulla contro il pop-rock derivativo, ma qui si sfiora il ridicolo. sto disco puzza di muffa. liam che ormai imita spudoratamente lennon non aiuta. se un disco così l'avesse fatto una band italiana sarebbe stata massacrata dalla critica. salvo la melodia cristallina di for anoyone, four letter word e the beat goes on.

NathanAdler77 alle 14:47 del 4 marzo 2011 ha scritto:

Il singolo è ordinaria amministrazione condominiale, l'eterno copia\incolla Gallagher di Kinks e Lennon (e intitolare un brano "Beatles And Stones" meriterebbe un avviso di garanzia). La copertina è una delle + loffie degli ultimi 15 anni, sembra ideata dal grafico di Patty Pravo... ghghgh