Pagoda

Pagoda

A prima vista si potrebbe liquidare l’esordio lungo della band di Michael Pitt, meraviglioso interprete del Kurt Cobain di VanSantiana memoria, come un semplice caso di identificazione con il personaggio cinematografico (alla Bela Lugosi, per intendersi) o tutt’al più come l’ennesimo sconfinamento in territori musicali di un attore hollywoodiano.

La prima impressione, come capita spesso è però sbagliata e la faccenda lievemente più complicata del previsto. A scomodarsi per la pubblicazione di Pagoda non è la major di turno che, fiutato l’affare semplice, decide di buttare qualche soldo nel divertissment, bensì l’Ecstatic Peace di Sua Maestà Sonica Thurston Moore in persona.

Già qui ai più attenti dovrebbe suonare un campanello d’allarme. Cosa ci può fare un attore di Hollywood, per di più sulla cresta dell’onda, sull’etichetta di un tipo del genere che tutto può cercare nelle sue pubblicazioni fuorché facili consensi o pubblicità gratuite? Ci deve essere qualche altra ragione se è proprio Mr. Sonic Youth in persona a redigere le note che accompagnano il disco e a farci sapere che Pagoda non è un part-time job per Pitt, giusto?

A scavare nella biografia di Pitt si scopre che è stata proprio la musica, quella contenuta nell’esordio Muskrat, ad attirare l’attenzione di Van Sant e poi di Moore, consulente musicale per il film su Cobain. E quella musica, ben lontana dagli sperimentalismi del marchio mooriano, oggi la ritroviamo nell’omonimo esordio lungo del quartetto newyorchese. Ad affiorare negli 11 pezzi sono ora gli Alice In Chains più devastati, ora i Nirvana meno popular, ma anche sconnessi accenni di ballata soffocata (Death To Birth) e qualche sperimentazione nei suoni, come nella conclusiva e sludgy I Do.

In definitiva, un disco buono per essere un esordio, ottimo se considerati i precedenti abbinamenti attore-musica, ma bisogna attendere gli sviluppi futuri per dare un completo giudizio.