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R Recensione

7/10

Gang

Sangue e cenere

Con i Gang è questione di cuore. Questione di riconoscere, nelle storie scritte e cantate dai fratelli Severini, le parole tante volte pensate, sentite, e magari mai espresse. Di condividere “la parte da cui stare”, se è quella di chi combatte, a vario titolo, per giustizia e libertà.  Di mettere da parte pudori e timori e lasciar scorrere, senza limiti, sentimenti e passioni. E, magari, di saltare con una immaginaria chitarra in mano al ritmo del loro combat rock, inossidabile  nello spirito come ai tempi di “Tribe’s union” ed appena più raffinato nella forma, arricchito di aromi folk e soul.

Se siete della partita, “Sangue e cenere” il nuovo lavoro in studio dei Severini, a quattordici anni dal precedente “Controverso”, è pane per i vostri denti.

Realizzato in crowfunding con il contributo di 1186 “coproduttori” ed una campagna che ha superato abbondantemente i fondi necessari per le registrazioni, avvenute fra l’entroterra ligure e gli Stati Uniti, prodotto dal chitarrista Jono Manson e ricco di ospiti illustri, il disco segna  un ritorno in grande stile dell’inconfondibile stile Gang, declinato in una estesa gamma di variabili.

 Un tuffo nel cuore del lavoro: “Gli angeli di Novi Sad”, dedicata ai tragici eventi bellici in  Jugoslavia ed ai suoi ponti abbattuti , è  interamente condotta dall’Orchestra d’ archi Pergolesi diretta da Stefano Campolucci , “Più forte della morte è l’amore” incastona  una storia biblica di sacrificio e redenzione su  elegante confezione soul rock con tanto di hammond, sezione fiati e cori, mentre uno sfrenato rock’n roll nutrito dalla sezione fiati di Bruce Springsteen,  Nel mio giardino”, fa da sfondo ad  una raccolta di immagini attinte alla parte più visionaria del vocabolario di Marino Severini.

Ma il tratto principale del disco sta forse nella sua natura di opera collettiva, ben rappresentata dalla popolata copertina, con tanti protagonisti dentro e fuori le canzoni a costituire un mondo in cui convivono sacro e profano, ingiustizie e riscatti, sopraffazione e voglia di combattere.

Ci sono i migranti della toccante “Marenostro”, “storia del grano, fuoco che torna al tramonto, pane spezzato alla fine del giorno”, c’è il padre piegato da un lavoro nocivo ma capace di un commovente sguardo serale al figlio in “Non finisce qui”,  i partigiani della Parma di “Alle barricate”, ci sono Fausto e Iaio, due ragazzi del Leoncavallo  uccisi da estremisti di destra nel 1978, e c’è Nino, comunista capace di sognare e combattere,  di  “fermare la mano che alza il bastone, ed essere Rivoluzione”, contrapposto  a chi “del partito ha fatto un affare”.

A dar loro vita, oltre alle evocative parole ed alle chitarre affilate dei Severini, un ricco palco da cui spiccano la possente sezione ritmica di Marzio Del Testa e Charlie Cinelli, le raffinate  tastiere di Jason Crosby, l’apporto di Jono Manson a chitarre e cori, le steel guitars di John Egenes e, su due ballads, “Ottavo chilometro” e “Mia figlia ha le ali leggere”, la mitica fisarmonica di Garth Hudson della Band, che porta dalle parti di Macerata un pezzo di Big Pink.

Questione di cuore, il nostro ed il loro, che, come nei concerti, su “Sangue e cenere” trovano tanti motivi per battere insieme.

 

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