Giorgio Canali e Rossofuoco
Rojo
Provateci voi a risultare sboccati ed eleganti allo stesso tempo, provate a darvi un tono da cantautore classico suonando al contempo ruvidi punk stonati, provate a contarvi le rughe senza dover ammettere che alla fine dei conti vi sentite stanchi. Sempre la solita storia: Giorgio Canali scrive la stessa canzone da dieci anni, prende a pugni polverosi mulini a vento, si imbarca in crociate anacronistiche armato di retorica ammuffita e stucchevoli cliché. Per dirla con il nostro, sai dove ficcarti la tua verità?
Per quanto possa sembrare improbabile ai detrattori, Rojo, sesto lavoro in studio di Giorgio Canali e dei suoi fidati Rossofuoco, è un disco che non ti aspetti. Non mancano le invettive, la solita rabbia mirata e barricadera, ma nei solchi cè posto, come mai in passato, per la levità di sentimenti profondissimi come lamore, la solitudine, la malinconia. Fa una certa sensazione ascoltare quello che non viene in foto, colui che ha intitolato un pezzo Questa è una canzone damore che faceva leccaculo in poltrona o sciacalli dassalto / che se poi crepano puoi solo gioire, mentre duetta con Angela Baraldi in La Solita Tempesta, come un qualsiasi folk singer innamorato e ferito, con tanto di armonica dolente e nessuna traccia di protesta civile. Ed è quello che succede in Controvento, posata, intima (e coi soliti giustissimi assoli elettrici), nelle morbide pieghe di Treno di Mezzanotte, immaginifica sofferenza amorosa cantata da una voce mai così svampita, profonda, intonata, e nel classico rnr di Ci Sarà, sfogo urgente, ma incredibilmente privato. Emblematico in tal senso è il finale, con il crescendo acustico di Orfani dei Cieli, dilaniante, umanamente arresa.
Cinque pezzi intimi su undici (non tutti, per la verità, pienamente convincenti) non è mica poco per un blasfemo misantropo del calibro dellex chitarrista di CCCP, C.S.I. e P.G.R.. Quello che ti aspetteresti da lui è la feroce proclamazione anticlericale di Sai Dove, lapparente rassegnazione nella livida Un Crepuscolo Qualunque, la morte dei simboli nel rocknroll di Risoluzione Strategica #6. A rendere dissonante e sghemba una altrimenti lineare Morire di Noja ci pensano la mitica batteria in prestito delleterno Rossofuoco Luca Martelli e le chitarre di Marco Greco e Stewie Dal Col (già Frigidaire Tango), new entry al pari di Nanni Fanelli al basso che sostituisce la brava Claude Saut.
Scaturito dal nulla dopo una lunga parentesi di stasi creativa (testualmente "che posso farci se mi guardo intorno e l'unica cosa che mi viene da scrivere è p#####ìo?"), Canali ha definito Rojo un album meno intimista rispetto al precedente Nostra Signora Della Dinamite: vero a metà. Se il precedente indugiava superficiale in morbidezze sino ad allora inedite, questo scava, toccando nervi coperti e invisibili. Daltro canto, il precedente non poteva contare su pezzi come liniziale Regola #1 (demolire bancomat / castigare celerini / e per limmaginario collettivo / divorare bambini) e soprattutto lincendiaria Carmagnola #3, nel suo piccolo un brano epocale. Lontano (molto, non troppo) dalle furie rugginose dellesordio Che Fine Ha Fatto Lazlotòz, ma pure dalle mitragliate millimetriche di Tutti Contro Tutti, il nuovo Rojo è certamente il lavoro più cantautorale del nostro. Ciondolando tra unarmonica dylaniana e un vecchio disco dei Diaframma, Canali ha intrapreso un viaggio dentro sé stesso, ma si è rotto i coglioni dopo cinque minuti ed è tornato a raccontarci cosa è cambiato. Niente, dite?
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