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R Recensione

6/10

Massimo Volume

Cattive Abitudini

Chi l'avrebbe mai detto di ritrovarci qui, giugno 2010, in un pomeriggio di pioggia e di sole, seduti di fronte alle nostre parole?

Già! Chi l'avrebbe detto che saremmo stati anche noi qui a commentare un nuovo disco dei Massimo Volume nel 2010? Per chi come il sottoscritto è cresciuto negli anni '00, abbagliato dal riflesso di ciò che ha rappresentato negli anni '90 la band emiliana, la cosa può sembrare in effetti un fenomeno irripetibile, come giustamente deve essere considerata la reunion di uno dei gruppi più geniali e importanti del rock italiano post-CCCP.

In effetti c'è pure il rischio di non essere pienamente oggettivi e lasciarsi trascinare un po' troppo dall'entusiasmo, trascurando il fatto che dopo il capolavoro assoluto di Lungo i bordi i Massimo Volume fossero caduti in un declino dorato degno dell'impero bizantino medievale. Se però Da qui restava su livelli altissimi Club privè mostrava pecche di “moderatismo musicale” che non potevano passare inosservate. Cattive abitudini diventava quindi una prova anche per capire se a distanza di tanti anni, tra chili in più e capelli in meno, si fosse riusciti anche a ritrovare quell'adeguata ispirazione musicale necessaria a non rendere le trame liriche di Emidio Clementi poco più di letture poetiche da salone letterario.

Da questo punto di vista bisogna purtroppo annotare che il progresso c'è stato solo in parte, perchè se è vero che l'iniziale Robert Lowell incanta per la ritrovata vena psichedelica post-rock, tra sfibranti intrecci di chitarre noise e ritmi martellanti, non si può dire che tali livelli si mantengano costanti per tutto il disco. Gli episodi scattanti sono in realtà pochi: il gioiello pirotecnico di Litio e la tesa e furiosa Fausto (“ho visto le menti migliori della mia generazione / mendicare una presenza al varietà del sabato sera”, ovvia citazione da L'urlo di Ginsberg calata in contesto massmediatico berlusconiano). Il resto in realtà è fin troppo compassato e dimesso. Nonostante la consueta eleganza e soavità di testi e arrangiamenti gli episodi cupi, morbidi e tenebrosi (Coney island, Tra la sabbia dell'oceano, Invito al massacro, Via Vasco De Gama) sulla lunga stancano un po' se non adeguatamente intervallati stilisticamente. Cosa che purtroppo non avviene, se si pensa all'insufficiente cambio di marcia di brani pur più spigliati e ritmati come La bellezza violata e le linee geometriche math di Le nostre ore contate.

Non si vuole con questo sminuire il preziosismo delle ariose divagazioni chitarristiche di Egle Sommacal e Stefano Pilia, né della versatile batteria di Vittoria Burattini. Però è innegabile che nemmeno i loro godibili spunti armonici e melodici poco possano di fronte ad eccessi grossolani come Mi piacerebbe ogni tanto averti qui, quasi otto minuti di “lenta” lirica sentimental-romantica tenuti in piedi da un'alternanza tra arpeggio semi-acustico e riverberi elettrici.

E' insomma l'atmosfera da noir narcolettico che nel suo complesso fa storcere il naso e in qualche caso purtroppo sbadigliare, mettendo in ombra le splendide liriche di Clementi. Se un certo valore aggiunto si può dare al disco è quindi soprattutto per gli spunti poetici dell'autore, la cui assenza negli anni ha creato un vuoto solo raramente colmato in pieno da gruppi come Marlene Kuntz, Offlaga Disco Pax e Bachi da Pietra.

Per citare la finale In un mondo dopo il mondo (anch'essa molto compassata e dimessa, facendosi ricordare per l'esplosivo finale che non c'è e avrebbe dovuto esserci) è meglio se “dimentichiamo tutto questo e continuiamo ad andare”, che in fondo anche se l'acqua del ruscello non è più buona come una volta resta pur sempre più salutare delle schifezze gasate che vendono ai distributori.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 24 voti.

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glenn dah alle 16:32 del 3 novembre 2010 ha scritto:

No, dai.

FrancescoB (ha votato 8 questo disco) alle 20:19 del 3 novembre 2010 ha scritto:

A me questo disco è piaciuto molto. Non è un "Lungo i bordi", ma rimane validissimo ed estremamente personale (anche se condivido alcuni appunti di Alessandro). C'è però da dire che io non faccio testo: adoro le liriche di Clementi oltre ogni limite, ed anche su questo disco le trovo quasi sempre eccellenti.

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 20:27 del 3 novembre 2010 ha scritto:

Recensione centrata, coraggiosa e scritta bene, Alessandro. Concordo quando dici che ci sono un po' troppi episodi lenti che, rallentando il ritmo complessivo del lavoro, a lungo finiscono per rimanere indigesti (e qui citerei due pezzi che citi anche tu: "Mi piacerebbe ogni tanto averti qui", davvero troppo lunga ed eccessiva, e "Avevi fretta di andartene"). D'altro canto è un disco che suona molto Massimo Volume, ed il rischio era inevitabile. Però mi sembra che tu sia stato comunque severo nel giudizio. Non metterei sullo stesso piano "Coney Island" e "Invito Al Massacro", anzitutto. Come avrei sottolineato maggiormente lo splendido lavoro di Egle Sommacal, chitarrista sopraffino dalle invenzioni fulminanti (almeno, io starei ore a sentire e risentire robe come "Robert Lowell", "Litio", "Fausto" o "La Bellezza Violata"). Insomma, approvo la forma ma solo parzialmente i contenuti. Le lungaggini individuate infatti sono sopportabili, per quanto mi riguarda, dentro una scaletta con moltissimi picchi. Di recente si è anche riparlato di Vasco Brondi e dei suoi testi "ermetici". Scritture modeste e paradossali come la sua scompaiono di fronte ad auctoritas ben più gigantesche, come quella di Clementi: non una frase fuori posto (bravo a citare all'inizio quel pezzettino di "Robert Lowell", splendido). Una particolarità che di recente ho riascoltato solo nei Ruggine, praticamente la loro versione post-core. Il mio voto sarebbe un 7,5, ma siccome mi sto accorgendo che sto diventando sempre più tirchio questa volta arrotonderò per eccesso e non per difetto.

Alessandro Pascale, autore, alle 0:49 del 4 novembre 2010 ha scritto:

sono stato un pò severo, è vero. Forse ho cercato di essere più critico del solito. Però rimango dell'idea che nonostante le tante gemme sparse qua e là sia uno di quei dischi che non ti viene proprio la voglia di ascoltare ogni giorno... e vabbè, forse son stato troppo puntiglioso sto giro, boh...

Charisteas (ha votato 8 questo disco) alle 22:01 del 4 novembre 2010 ha scritto:

Bentornati ai Massimo Volume. E che ritorno! La degna prosecuzione del trittico Stanze-Lungo I Bordi-Da Qui. La recensione pone una riflessione simile a quella presente su Ondarock (anche il voto è quello): non mi trovo d'accordo.

NathanAdler77 (ha votato 8 questo disco) alle 23:53 del 4 novembre 2010 ha scritto:

Non fidarti dei fantasmi del '900

Non sono d'accordo Alessandro..."Club Privé" fu un addio transitorio e un po' incerto (con la zampona d'Agnelli a snaturare anche il "canto" di Emidio), questo è un ritorno vero e sontuoso. Il post-core slintiano "Mi Piacerebbe Ogni Tanto Averti Qui" e i paesaggi Tortoise di "Avevi Fretta Di Andartene" riannodano i fili del tempo con l'indimenticabile "Da Qui" (il mio MV preferito). Egle + Pilia ipnotici e acuminati in brani-killer come "Litio" e "Fausto" (quella frase purtroppo oggi non è così ovvia, è necessaria) e poi Clementi, beh un suo verso vale dischi interi di "centrali elettriche" o d'insulsi Bianconi autoreferenziali. Album italiano dell'anno, ex-aequo con gli Amor Fou.

Dr.Paul (ha votato 5 questo disco) alle 10:10 del 6 novembre 2010 ha scritto:

oddio sono rimasti fermi agli anni 90, le solite schitarrate...per me bocciato sorry!

salvatore (ha votato 5 questo disco) alle 13:25 del 6 novembre 2010 ha scritto:

RE:

Completamente d'accordo con il dottore Paolo. Alcune cose che suonano vecchie mi piacciono, ma qui ci trovo proprio un po' di muffa. Suonano bene, certo, ma il cantato epico da omelia e i testi troppo supponenti non aiutano. Non fa per me...

REBBY (ha votato 5 questo disco) alle 8:50 del 8 novembre 2010 ha scritto:

Io non conoscevo prima, se non per la fama, i Massimo volume. E d'altra parte ho abitato in via del pratello dalla fine degli anni '70 alla prima metà degli anni '80 e dal 1992, per un decina d'anni, sono stato musicalmente in sonno, accontentandomi dei miei numerosi vinili sin li accumulati e dei pochi, ma buoni (si faceva consigliare dai suoi studenti eheh), CD che mi regalava ogni tanto mia moglie. Quindi è chiaro che questo è il loro primo album che ho ascoltato e lo giudico per quel che sento oggi, senza tener conto del loro passato, "perciò sciogli il tuo esercito assetato di pace e lasciami violare le mura sguarnite". Belle liriche, ottimi musicisti, godibili la maggior parte delle trame sonore, peccato manchi il cantante. "Lo so ti saresti aspettato un'accoglienza diversa...". Mi sarebbe piaciuto conoscere quest'opera dal vivo, sarebbe stato un buon reading su piacevoli basi musicali. D'altra parte anche il mio primo ascolto sullo stereo, attento, ha avuto il suo fascino. Ma poi, arrivata la fase del riascolto, sopraggiunge una certa monotonia. Il mio problema è che generalmente percepisco la voce come uno strumento, tra gli altri, e non sempre sono concentrato sulle parole. La musica fluisce nel mio apparato sensoriale come un unicum, risultante dai diversi contributi strumentali. Esaurita la fase della conoscenza la monotonia propria del contributo vocale di quest'album anestetizza, spesso, il risultato finale. E vabbè, riprendiamo a prestito le parole di Clementi e "dimentichiamo tutto questo e continuiamo ad andare, occhi chiusi e le braccia aperte, in equilibrio nel nostro monotono sublime". Alla fine, pur partendo da basi diverse e da una minor conoscenza della storia di questa band, mi ritrovo nelle parole di Alessandro: "poco più di letture poetiche da salone letterario", talvolta "fin troppo compassato e dimesso", "alla lunga stancano un po'", uno di quei dischi che non ti viene proprio voglia di ascoltare ogni giorno". Certo che, se ci riferiamo ad una delle perle del disco, Fausto in una mista, non penso mi stancherò di ascoltarla. Il mio problema è coll'ascolto filato dell'album, non con un singolo brano. "Questo sono io nell'illusione che ciò che siamo riusciti a dire fosse ciò che avevamo da dire".

fgodzilla (ha votato 8 questo disco) alle 16:22 del 9 novembre 2010 ha scritto:

Bellissimo

Quoto ogni parola di Nathan compresi come diceva TOTO' i punti , le virgole e i punti esclamativi.

meno male che almeno Biasio e' entrato nel commento.

Non capisco invece l'assenza degli altri notevolissimi GURU del sito forse troppo impegnati a recensire il nuovo indie group del momento )))

andy petretti (ha votato 8 questo disco) alle 2:35 del 22 novembre 2010 ha scritto:

qui ce n'è per tutti

recensire un album dei MV è sicuramente un lavoro complicato, c'è chi apprezzava i lavori più estremi, più immediati di Lungo i Bordi, e c'è chi, come me, si è innamorato delle parti più intime di Club Privé, sciogliendosi nelle atmosfere rarefatte di Pondicherry e Avevi Ragione, arrendendosi alla rassegnazione di Dopo Che... a ognuno il suo, in particolare quando si tratta di affrontare una band così originale, così diretta, così pronta a trasformare certe scene musicali. Confesso di essermi avvicinato a questo album con la paura dell'amante deluso, che cerca le sensazioni delle origini con la paura di restarne scottato. Il risultato finale, dopo ore di full immersion (perchè non ci si può avvicinare ai Massimo Volume senza dedicargli la massima attenzione assoluta), per quanto mi riguarda è Eccellente. Atmosfere intime, parole profonde, ritmi ed equilibri che nemmeno anni fa, ad Urbino, Mimì aveva saputo ricreare. Brani come Coney Island, Litio, Le nostre Ore Contate, a metà strada tra la rabbia e la disperazione, lasciano segni più profondi di tante cazzate contemporanee. E chiudere con un simbolo dell'addio, dell'abbandono, dell'esperienza vissuta e finita come In un mondo dopo il mondo, brano che mi spinge alle lacrime se preso nel momento sbagliato... E' un disco che parla di separazioni, di passi avanti dopo l'abisso, di guardare al domani dopo le macerie del presente, nonostante il dolore lancinante nel cuore... Per quanto mi riguarda questo è il miglior disco italiano dell'anno, a prescindere dall'affetto che mi lega alla band. Bentornati, maledetti. Ascoltate e meditate, gente, meditate...

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 15:56 del 13 dicembre 2010 ha scritto:

Per ora dico che "Fausto" è un pezzo da (anni) 90.

bargeld (ha votato 8 questo disco) alle 20:32 del 17 dicembre 2010 ha scritto:

Mi spiace che a te non sia piaciuto tanto Ale, ma ho visto che hai già avuto modo di chiarire la tua posizione. Io lo trovo ispirato e bellissimo, non saprei quale scegliere come mio pezzo preferito, adoro per lo meno dieci dodicesimi di quest'album. Bentornati!

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 9:56 del 22 dicembre 2010 ha scritto:

Peasy stai diventando più tirchio di me. Bel disco, gran singolo, ottimo ritorno. Senza tentare di fare operazioni di "recupero della giovinezza" come quelle dei Marlene Kuntz o di "convergenza popolare" come quelle degli Afterhours. I MAssimo Volume tornano sulle scene e fanno i Massimo Volume. E lo fanno bene.

Norvegese (ha votato 7 questo disco) alle 10:44 del 24 gennaio 2011 ha scritto:

concordo con il recensore per quanto riguarda la parziale mancanza di momenti più tirati, ma lo ritengo comunque un ottimo come-back, con alcuni brani degni dei capolavori del passato. Miglior episodio a mio parere: La Bellezza Violata

sarah (ha votato 7 questo disco) alle 11:42 del 24 gennaio 2011 ha scritto:

Un ritorno onesto e tutto sommato avvincente.

bill_carson (ha votato 7,5 questo disco) alle 17:40 del 18 novembre 2012 ha scritto:

un paio di pezzi minori non inficiano la qualità d'un buonissimo disco. certo, il recitativo monocorde tende a stancare, ma avercene di dischi italiani così. io li trovo interessanti, originali in alcuni momenti.