Moltheni
Fiducia Nel Nulla Migliore
Umberto Giardini, in arte Moltheni, ha deciso di concludere la sua carriera cantautorale dopo un lungo tour, terminato lo scorso anno. Era una specie di celebrazione, successiva alla pubblicazione di “Ingrediente Novus”, raccolta sui generis di brani del suo repertorio rivisti e corretti, dopo 10 anni di attività. Torniamo al 2001, anno della famosa odissea di Kubrick, prima di “Suprema”, forse la sua composizione migliore, prima dell’intimo disagio dei lavori successivi, preparandoci ad ascoltare un’odissea sonora e personale, raccontataci con termini criptici e sonorità oblique. Torniamo a quel disco che, da un lato, ha contribuito ad innalzare Moltheni agli occhi di chi sa ascoltare, dall’altro ha distrutto il momentum creato dal successo di “In centro all’orgoglio” e “Il circuito affascinante”. Un lavoro che Moltheni avrebbe voluto chiamare “Debutto”, ritenendolo più rappresentativo della sua anima del suo predecessore. Probabilmente, in quel preciso istante di storia, era così.
Al primo ascolto, mi aspettavo qualcosa di diverso. Avevo ancora nelle orecchie “Natura in Replay”, risalente al 1999. Due anni erano passati. La partecipazione a Sanremo era scivolata via senza conseguenze, per fortuna. L’evoluzione era cominciata e, pensavo, probabilmente era ancora lontana dal concludersi. Non sapevo quanto avessi ragione.
“Ragno che mi hai punto, contento torna nel tuo inferno”, recita l’abrasiva breve traccia di apertura, “Zenith”. Le sensazioni sono tutte comprese qui. Il ribrezzo per essere stati punti da un ragno peloso. La contentezza per essere riusciti a completare qualcosa. L’inferno, posto in cui si ritorna. E si vive, necessariamente. Inutile l’illusione del presente, inevitabile la fiducia nel futuro. Nel nulla migliore, appunto.
La musica parte dal cuore, scaturisce dall’interno dopo aver lacerato tutto. Rock mai scontato, con testi che non concedono nulla ai normali cliché tanto di moda all’epoca e ancora oggi. Storie poco chiare per chi non le vive. Paragoni azzardati (“Il Bowling o il Sesso?”), immagini criptiche (“Ridi Irene Ridi”), storie di ordinario disadattamento (“Zona Monumentale”).Tutto molto più personale e forte che mai.
Le soluzioni musicali non ricalcano mai il già sentito, ispirando negli anni successivi personaggi che sceglieranno la non metricità dei testi e le chitarre, come Vasco Brondi. Voce roca in primo piano. L’anima. Il vuoto. L’ignoto. Il nulla che sarà, necessariamente, nel futuro di ognuno. Non arrendersi. Mai. Anzi, “aprimi tutte le vie, che non perdo tempo”, annuncia Moltheni in “Finta Gioia”, provocando brividi continui mentre pizzica la sua chitarra mai percepita così vera prima. Aprite dunque.
Che il miglioramento inizi. Continui. E, una volta terminato, riparta da zero. Perché, se la ricerca duole, il vero dolore è dato dal ritrovamento e dalla scoperta. Dalla inevitabile evoluzione.
Moltheni ha fatto proprio così. Dopo questa esperienza difficile ed intransigente, ha cambiato rotta e sfornato lavori intimisti come “Splendore Terrore” e “I Segreti del Corallo”. È nel nulla migliore, però, che troviamo un esempio di alternatività che gli anni 2000 non avevano ancora imparato a distinguere. Basta ascoltare “E poi vienimi a dire che questo amore non è grande come tutto il cielo sopra di noi” per averne un assaggio. Dopo, nulla vi sembrerà lo stesso. Dopo, il nulla vi sembrerà migliore.
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