V Video

R Recensione

7,5/10

Motta

La Fine Dei Vent'Anni

Di una bellezza raggelante, La Fine dei Vent’Anni, una bellezza gravida di fuggevolezza e cicatrici. Non effimera, non vuota, ma satura di echi, respiri, e poco più. Un’opera presuntuosa, per fortuna, da una parte perché urgente, violenta e impettita, dall’altra per il suo risuonare esotica e universale, figlia di un lavoro chirurgico di fioretto su una materia impalpabile e ribelle.

Francesco Motta, voce dei Criminal Jokers, con La Fine dei Vent’Anni disegna uno sconcertante affresco di risme di fotografie violacee, cadute in terra con disadorna noncuranza, eppure a fuoco, vissute non da molto e ripudiate, rimpiante, comunque perdute.

Il suo album solista d’esordio gode della produzione del buon Riccardo Sinigallia, che dilata la personalità del musicista pisano senza ottunderla né barricarla, anzi acuendone le spigolature e destabilizzandone i magnifici vuoti. Una maniera di scrivere, quella di Motta, che vive di somme e splendide sottrazioni, destrutturazioni nichilistiche e impavide aperture al mondo: anche la voce sta piegata sullo sfondo, poi improvvisamente diventa protagonista, si supera e pare doppiare sé stessa, per disgregarsi e nuovamente cambiare forma. È metallica, gelida nel dondolio splatter di Abbiamo Vinto Un’Altra Guerra e nella più cantautorale title-track, diviene sopraffatta, annegata, nella tropicaleggiante Del Tempo Che Passa La Felicità, epica e sfumata di grana livida, e più tardi sguaiata e sopra le righe nei tunnel bui di Se Continuiamo A Correre.

Le trame sonore si prostrano dinoccolate alle storie con cui danzano: sabor del caribe in Mio Padre Era Un Comunista, tratti orientaleggianti in Prenditi Quello Che Vuoi, lambiscono la dance in Prima o Poi Ci Passerà, e la levità stralunata del pop nella bella davvero Sei Bella Davvero. Roma Stasera è caracollante e gonfia di rabbia repressa e tuttora inespressa, Una Maternità chiude in un vestito così dolce e perfido, che non t’aspetteresti una fine dei vent’anni più appropriata di questa.

Contaminato ed esperienziale, lontano dalle strizzate d’occhio di certo “nuovo” cantautorato tricolore, l’esordio di Motta è un viaggio psicotico a cuore caldo, mente fredda e respiro universale.

"L'amore è aspettare insieme la fine delle cose", e la fine è proprio qui, insieme all’amore, all’attesa, ai miei vent’anni e ai vostri, e ad ogni volta in cui non li abbiamo avuti più.

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 13 voti.
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Cas 7/10
zebra 7/10
Vatar 7/10
giosue 6,5/10
gull 7,5/10
Manci01 7,5/10

C Commenti

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fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 10:25 del 24 marzo 2016 ha scritto:

A prima vista mi sta violentemente sui coglioni. Al primo ascolto, con quella voce un po' così, quelle ballate un po' così e quel video un po' Strokes, vorrei strangolarlo con del filo spinato. Invece, alla fine, mi piace abbastanza. Non è uno Jacopo Incani ma neanche un Calcutta, ecco. E' un Vasco Brondi che ha abbandonato la masturbazione compulsiva. E' un post-giovane, come suggerisce il titolo del disco. Comunque scrive e arrangia bene, e la mano di Sinigallia si sente bella pesante. Ripasso per il voto, ma è già promosso.

Gio Crown (ha votato 7 questo disco) alle 12:02 del 24 marzo 2016 ha scritto:

La voce non è delle migliori ma i pezzi sono notevoli!.

Nel panorama musicale italiano da me conosciuto spicca come una bella stella mattutina! Ho apprezzato in particolare "Prima o poi ci passerà" e "Sei bella davvero". Sì, il paragone con Brondi ci sta, ma mi sembra che la vena melodica sia differente.

Non farei panegirici di questo album basati su equlibrismi linguistici come il recensore, ma condivido il primo giudizio espresso "di una bellezza raggelante,".

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 12:11 del 24 marzo 2016 ha scritto:

Don't touch the recensore che è un fenomeno.

bargeld, autore, alle 22:58 del 24 marzo 2016 ha scritto:

Beh, Fab, in realtà sono abbastanza d'accordo con Gio sui panegirici... Mi sono stato abbastanza sulle scatole rileggendola, ma mi si è scritta da sola e così è venuta (non prosaicamente... anzi ok, un po'). Ringrazio entrambi per le opinioni, e la sensazione è proprio quella che racconti tu, Fabio. A me i dischi così mi prendono tanto, oppure zero, d'altronde anche il Brondi degli esordi mi piaceva molto. Motta, se avrà successo, collezionerà tanti di quelli haters che nemmeno i Cani eheh! Per il momento, coi miei vent'anni finiti da quindici, prendo il bello e il buono che ci ho trovato dentro, lo racconto agli amici, me ne pavoneggio e vergogno contemporaneamente, e poi torno ad avere trentacinque anni. O giù di lì.

Cas (ha votato 7 questo disco) alle 20:53 del 26 agosto 2016 ha scritto:

Solo io ci ho sentito un po' di Manu Chao nei momenti tropical?

Vabbe', comunque artista molto promettente: sa scrivere canzoni evitando quella "masturbazione compulsiva" di cui parlava giustamente fab. Ragiona anche sui suoni e non solo sulle liriche, e questo me lo rende parecchio simpatico. E poi uno che scrive pezzi come "Abbiamo vinto un'altra guerra", "Prima o poi ci passerà" e "Se continuiamo a correre" va tenuto d'occhio.

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 9:20 del 27 agosto 2016 ha scritto:

Manu Chao addirittura? Topo Gigio no? No scherzo, hai ragione. Forse la voce è ancora l'elemento che mi convince meno, però il disco è validissimo.

zagor alle 13:11 del 27 agosto 2016 ha scritto:

beh dal la faccia e da titoli tipo "mio padre era un comunista" i paralleli con manu chao possono starci

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 11:40 del 2 dicembre 2016 ha scritto:

Mi devo rimangiare una cosa: voce pazzesca

Vatar (ha votato 7 questo disco) alle 17:00 del 13 dicembre 2016 ha scritto:

Musicalmente non mi dispiace affatto anche se la voce non mi fa impazzire di certo, specialmente quando sale di tonalità, nel contesto globale un buon disco sicuramente, comunque se proprio devo scegliere preferisco il panettone...

gull (ha votato 7,5 questo disco) alle 18:17 del 19 dicembre 2016 ha scritto:

Che bello leggervi e scoprire di avere sentito le stesse cose che ci avete sentito voi. Manu Chao nell'arrangiamento di "mio padre era comunista" ce lo sento chiaro anch'io. Così come un qualche cosa di Brondi, ma soprattutto la mano del produttore assolutamente predominante. Comunque un gran bel disco ed un tipo che non si fa fatica ad amare da subito.

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 19:01 del 19 dicembre 2016 ha scritto:

Ciao gull! Io aggiungo anche che l'intro di "Del tempo che passa la felicità" è praticamente "Razzi, arpie... " dei Verdena (ne risultano due pezzi eccellenti) e che su "Get Lucky" dei Daft Punk ci puoi tranquillamente cantare "Prima o poi ci passerà". Disco pop totale, sicuramente tra i miei dieci del 2016.

gull (ha votato 7,5 questo disco) alle 20:45 del 19 dicembre 2016 ha scritto:

"Get Lucky"! Giusto, ecco cos'era quella sensazione di deja vu. In ogni caso "prima o poi ci passerà" è riuscitissima. Anche per me questo è il pop che vorrei sempre sentire. Ce ne fossero.