R Recensione

6/10

Julie Doiron

Woke Myself Up

La carriera musicale della folksinger francocanadese Julie Doiron ha inizio nel 1990, anno che la vede militare come bassista e cantante nelle fila degli Eric’s trip (gruppo che prende il nome dall’omonimo pezzo dei Sonic Youth), band folk-psichedelica di culto che spianerà la strada all’esercito di band canadesi di questi anni, firmando un contratto per l’etichetta Sub Pop. Nel 1996, poco dopo l’annuncio dello split, con il disco Broken Girl ha inizio la sua carriera solista. L’album esce per la sua label Sappy Records, seguendo due Ep usciti nel 1993. Nel 1999, con la complicità dei Wooden Stars, esce Will You Still Love Me, per cui riceve il Juno – premio canadese simile al Grammy americano.

Il titolo dell’esordio, Broken Girl definisce bene il personaggio e il lavoro di Julie Doiron. La sua musica si riallaccia alla tradizione indie folk, distinguendosi per una tendenza alla melanconia ed una delicatezza tipiche del Sad core. Già il precedente album Loneliest in the Morning, prodotto da nomi importanti dell’indie folk (Dave Shouse, Davis McCain, Howie Gelb (Giant Sand) e Doug Easley), ma ancora più il nuovo disco Woke myself up testimoniano però la voglia di emanciparsi da quest’immagine di Broken Girl. Il primo pezzo, I Woke Myself Up ci comunica una sicurezza ed energia che riaffioreranno a sprazzi durante l’ascolto del disco, ma che tendono a celarsi durante i primissimi pezzi.

Gli elementi dominanti restano comunque l’intimità e il calore: i pezzi sono interpretati con una grande chiarezza e una voglia di confessarsi, incentrati soprattutto sulla vita personale (la famiglia da una parte, gli amori delicati dall’altra) e imprigionati in melodie gracili e delicate. La confidenzialità della musica molto deve alla produzione del vecchio compagno Rick White ( Eric’s trip) che mette in risalto la sua voce delicata attraverso arrangiamenti cristallini, evanescenti, quasi minimalisti.

Il tono, dolce e chiaro – sorta d’incontro tra Suzanne Vega e Aimee Mann - sprigiona una melanconia che riporta alla mente il lato più indifeso di Cat Power. La folksinger riesce ad incantarci in pezzi come l’ultima Untitled Track o la romantica You look so alive. In Dark Horse la cantante è al suo apice, quando ci racconta del suo bambino e della sua famiglia, mentre il lento e intimo The Wrong Guy ricorda la vena introspettiva e nostalgica della cantante norvegese Ane Brun.

Non convince però sempre, sfiorando la scialbezza: l’album corre spesso il rischio di risultare ripetitivo, di affogare nello stereotipo della cantautrice introversa e minimalista: quando ecco, all’improvviso, si affaccia la canzone No More, vero picco dell’album, e la seguente Don’t wanna be/Liked by you, pezzo che emerge per la sua inaspettata vena rock, in cui si mette in mostra una cantante emancipata, sfacciata, che fa un bel chiasso per la sua medesima introversa personalità: Don’t wanna be liked be you, I never wanna be in your bed. And I never wanna be in your books... Il tono è da femmina riottosa, ma all’improvviso si interrompe e sussura, con piglio enigmatico but I might play music for you quasi ad aggiungere al messaggio una postilla provocatoria che saremmo felici di sentire più spesso nei suoi pezzi.

V Voti

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