Alcest
Shelter
La brutta notizia è che Stéphane Paut ha deciso, una volta per tutte, di recidere i rimanenti legami che lo stringevano alle proprie origini culturali ed antropologiche, ancor prima che musicali black metal. Non che la cosa stupisca granché: quasi non si contano più i casi di musicisti che voltano le spalle ai propri Sé esploratori di gioventù, colpevoli di una troppo marcata adesione allelettricità più selvaggia e roboante. La bella notizia è che la mente di Alcest, monicker da tempo comprendente una band del tutto strutturata, ha deciso così facendo di eliminare ogni ambiguità, saltare oltre lo steccato ed abbracciare il lato formalmente più delicato, evocativo e sognante della propria arte. Così che, da quel Souvenirs DUn Autre Monde che meglio ridefiniva il concetto di black-gaze, passando per le massicce iniezioni wave di Écailles De Lune e il kitsch caricaturale di Les Voyages De L'Âme, sempre meno sia rimasto della particella iniziale, e sempre più della fase successiva, secondaria. Il guardarsi le scarpe diviene, così, il nuovo rifugio di Neige: letereo strato di suono come scudo dietro il quale proteggersi.
Il lavoro, in produzione, di Jón Þor Birgisson dei Sigur Rós si fa sentire, a tratti anche pesantemente, nella texture musicale di Shelter che, dati alla mano e orecchio ben teso, è senzaltro il disco strutturalmente più semplice ed armonicamente più arrangiato della punta di diamante della Lègion Noir. Ciò che sembra un controsenso, in realtà, non lo è: non nella misura in cui si prende per buona la reductio ad notum del frammento pop da sempre incassato nella creazione di Alcest. Se la forma, insomma, ha smussato gli spigoli e placato la riottosità, la funzione è rimasta invariata. Data per scontata la rinuncia ad uno screaming che, peraltro, costituiva elemento accessorio già da molto tempo, la ferinità stessa della distorsione è radicalmente messa in discussione, scomposta in una miriade di soluzioni solo apparentemente contigue fra loro. Possibile che Shelter sia, per certi versi, un album prog? Per come lavora sulla variazione tematica e sulla resa timbrica, sicuramente sì: neo-prog, ovviamente, allacqua di rose, gentile e malinconico. Un solo sussulto, peraltro subito abilmente mascherato, prende alla bocca dello stomaco, allesplodere delle chitarre in Voix Sereines, la Nouvelle Vague di nero vestita e riccamente crinita: per il resto il copione è noto, e segue ben precise vie maestre di sognante astrazione.
La sperequazione della scaletta, peraltro, penalizza un disco che avrebbe potuto essere anche maggiormente incisivo, se più coeso e concentrato. Se gli echi ed i tremoli delle chitarre di L'Eveil Des Muses trascinano il brano verso derive dream pop scontate e zuccherose, non così avviene per la title-track, che è saggio di pura retromania romantica, malinconica colonna sonora aggrappata a rade tracce pianistiche e ad unintelaiatura, acustica, che mai emerge in superficie. Ancora, accanto ad un perfetto singolo sigurróssiano che magnificamente evidenzia i giochi umbratili a cui Alcest sottopone le proprie melodie (la doppietta Wings e Opale quasi sembra appartenere allo stesso non-luogo, fiabesco e paradisiaco, di pezzi come Sæglópur, e il bel video che ne correda lascolto corrobora la prima impressione), scorre il banale arpeggiato di La Nuit Marce Avec Moi, post rock emozionale che non va oltre la didascalia di maniera. Sino ai conclusivi fuochi dartificio, che consacrano lintero lavoro nel segno del mare, il vero rifugio di Neige e compagni: una Away che si culla, leziosamente, tra archi e la voce evocativa di Neil Halstead degli Slowdive ma, soprattutto, lassoluto candore di Délivrance, suite-non suite dove gli strumenti si azzittiscono poco alla volta, lasciando assoluto spazio alle stratificazioni vocali, allangelica lucentezza di cori contrappuntati dagli inconfondibili violini delle Amiina.
Si sa, daltro canto, che pure i demoni furono per una volta almeno gli angeli più belli di tutti i cieli. Chissà che Alcest non possa davvero risalire la china ed ascendere al firmamento di chi non segue, ma viene seguito.
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