Catherine Wheel
Ferment
I Catherine Wheel nascono a Yarmouth nel 1990, guidati dal cantante Rob Dickinson (cugino di un certo Bruce), con l'idea di suonare roba in stile House of Love. Nonostante la celebre parentela, i mezzi a disposizione della band non sono all'altezza delle ambizioni, e ascoltando oggi i primi due EP, "She's My Friend" e "Painful Thing" (rispettivamente gennaio e maggio 1991), più che shoegaze quello che fuoriesce dalle casse sembra semplice noise-pop con chitarre compresse, se volete una versione anabolizzata della scuola C86. Ancora carenti del respiro ampio e dell'afflato celestiale della musica a cui vogliono rifarsi, i Catherine Wheel riescono comunque a attirare l'attenzione di John Peel, che trasmette in continuazione le loro canzoni: da lì a breve ecco spuntare il contratto per Fontana Records e il connubio col produttore Tim Friese-Greene.
Il processo non è semplice, la band ricorda le session di "Ferment" come massacranti, in particolare a causa della propria imperizia tecnica, ma alla fine, aggiusta qui e ripara lì, Friese-Greene riesce a guidare il candore del quartetto verso la perfezione formale, ottenendo un compromesso ammaliante. "Ferment" è un disco di cui è difficile scrivere, a causa di un suono che, solo in apparenza monolitico, sfugge a comodi riassunti e contiene anzi una serie di germi estemporanei, capaci di renderlo manifesto fra i più importanti del settore. Trattandosi però di elementi completamente slegati l'uno dall'altro, risulta impossibile capire se fossero frutto di un'estetica precisa o di semplice serendipità. Proseguire a settori non sarà forse elegante, ma è l'unica maniera che consenta di non cadere in confusione.
1. Gli elementi in comune con i Talk Talk.
Benché ufficialmente sia sempre stato un collaboratore esterno, Friese-Greene rimase a tutti gli effetti nei Talk Talk dal 1984 al 1991, nella veste di produttore, autore e musicista. Non è semplice individuare dove il suo apporto terminasse e dove cominciasse quello di Mark Hollis, considerando che i due firmarono insieme tutti brani e si spartirono equamente tanto le chitarre, quanto le tastiere. Nonostante la distanza fra le sonorità tenui dei tardi Talk Talk e le potenti chitarre dei Catherine Wheel, l'ascolto di "Ferment" mette subito in risalto i cambiamenti rispetto ai due EP sopra accennati. Ritroviamo in scaletta quattro di quei brani ("I Want To Touch You", "She's My Friend", "Shallow", "Salt"): ma se prima era noise-pop da scantinato, nella nuova veste è un affresco di chitarrismo etereo, suonato nel mezzo di qualche maestoso dipinto neoromantico. E' nei suoni più acuti, nelle code di feedback più sgranate (quelle che maggiormente contrastano col cadenzato marasma della chitarra ritmica) che si rintracciano i ricami tipici di un disco come "Spirit Of Eden": se poi lì erano ritocchi d'atmosfera, mentre qui graffiano e squarciano l'orizzonte, il risultato è comunque esaltante. Risente dei Talk Talk anche la title-track, brano pacato, dalla batteria lievemente jazzy, fatte salve le ondate rumorose che irrompono e scompaiono all'improvviso, per più volte: da zero a cento nel giro di un istante, e poi di nuovo nella quiete assoluta. Nel corso dello shoegaze probabilmente nessun altro brano ha reso con un contrasto tanto shockante e repentino i due volti della medaglia: quello dei suoni liquidi e quello delle asperità.
2. L'eredità dei Comsat Angels.
"Sleep No More" fu un disco per il 1981 a dir poco preveggente: con l'uso degli effetti chitarristici allo scopo di generare riff taglienti come rasoi eppure armonicamente ariosi, i Comsat Angels finirono a un passo da ciò che diversi anni dopo si sarebbe chiamato shoegaze. Non stupisce quindi che nel 1992 la band sarebbe tornata sulle scene con "My Mind's Eye", album pienamente ascrivibile al calderone, e stupisce ancor meno che i Catherine Wheel fossero loro ammiratori. Il bassista Dave Hawes ha dichiarato che il brano portante di "Ferment", "Black Metallic", rimanda al classico per eccellenza dei Comsats, "After The Rain" (da "Fiction", 1982): non possiamo dargli torto, ma sono un po' tutti i brani a rielaborare il miscuglio di intimo romanticismo e malinconia, di cui i Comsats furono maestri, alla luce delle nuove istanze alt-rock e delle forme chitarristiche sperimentate dalla coppia Rob Dickinson/Brian Futter.
3. Le trame vocali.
Doveva esserci qualcosa nell'aria dei primi anni Novanta, che fece adottare lo stesso stile vocale a un certo numero di band, tutte interessate a scoprire il volto etereo del rock chitarristico, sebbene nelle forme più disparate. Dallo shoegaze scattante dei Ride a quello più massiccio dei Catherine Wheel, dallo space-rock dei Levitation al neo-prog dei Porcupine Tree (quelli della prima fase), una schiera di artisti adottò alla lettera una modalità espressiva ben precisa. Voce eterea, eco e effetti quanto basta, e una grande forza impattiva, ottenuta spesso sovrapponendo linee vocali fra loro identiche. Il risultato era un vero e proprio muro vocale, che il successivo rock alternativo purtroppo non premiò quanto a diffusione, relegandolo a peculiarità dei nomi di cui sopra: i Catherine Wheel stessi simboleggiarono questo calo di interesse per l'aspetto in questione, quando dal terzo album in poi optarono per un canonico canto dal piglio muscolare, in piena linea con il grunge.
4. La parentela con il grunge.
E' proprio il movimento di Seattle l'ultimo ingrediente cruciale per la comprensione di "Ferment". Bisogna precisare che la band vi si tufferà solo in seguito alle fallimentari vendite UK della seconda prova, "Chrome" (1993), alla ricerca di uno zoccolo di fedeli sul mercato americano, ma è anche vero che un orecchio attento avrebbe intuito la tendenza sin dall'album di debutto. Aprendo una piccola digressione, è interessante notare come, al primo impatto con grunge e shoegaze, si scorgano elementi pressoché identici: entrambi i generi vengono non a caso presentati come prosecuzioni del pop-rock alternativo degli anni Ottanta, basate sul contrasto fra linee vocali in prevalenza melodiche e distorsioni chitarristiche, spesso urlanti di feedback. Le differenze, comunque nette, sono tutte interne allo sviluppo dei punti comuni: tanto nello stile vocale, come sopra accennato, quanto nelle dinamiche delle chitarre. Se nel grunge vincevano le accordature basse, i riffoni e il pedale Big Muff, con i suoi suoni lunghi e grassi, lo shoegaze ai riff preferiva gli accordi aperti, ricorreva talvolta alle dodici corde o alle chitarre "da surf" della Fender, e sfruttava le distorsioni per ottenere un sound quanto più possibile arioso. I Catherine Wheel non sono mai stati da una sola parte della barricata: hanno avuto semmai momenti in cui il dosaggio verteva a favore di una corrente piuttosto che dell'altra. "Ferment" ha quindi già alcuni elementi grunge, così come "Happy Days" (1995), il fatidico album del 'tradimento', ne manterrà alcuni shoegaze. "Chrome", piazzandosi in mezzo, è da questo punto di vista l'opera più equilibrata. Non raggiunge però la magia atemporale di "Ferment", che anche alla luce del remaster uscito a inizio 2010, non ha perso una stilla del suo smalto: peculiare come pochi, rimane il pinnacolo dello shoegaze insieme ai debutti di Ride, Whipping Boy e poca altra gente.
Ringrazio Alessandro Nalon per il supporto.
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