Cheatahs
Cheatahs
Attivi da qualche anno, tra singoli e Ep (raccolti nel 2013 nella compilation Extended Plays), i londinesi Cheatahs approdano finalmente, con il loro esordio omonimo, al formato album, raccogliendo quanto fatto negli ultimi anni e mettendo tutto nero su bianco, in forma compiuta e organica.
Il lessico è quello che da diverso tempo sembra essere lo standard per il rock alternativo britannico: shoegaze-pop saturo ed espanso, dove ad una genuina scrittura indie pop si affiancano i moduli sonori roboanti di scuola MBV e Ride. Ed è proprio su questa intesa che il quartetto punta tutto: la formula alterna momenti di puro -e divertentissimo- revivalismo (The Swan, Leave to Remain) ad altri dove si nasconde, assieme ad una lettura contemporanea, anche un'interpretazione ibrida, personale: parliamo di Mission Creep, dove fanno capolino i Deerhunter, di Fall, tutta un scintillio di synth fusi alle chitarre lanciate in droni serpeggianti, o ancora di Cut the Grass, dove può scorgersi l'influsso della nuova scuola neo-psych inglese.
Le chitarre sono ora traslucide e melliflue, squagliandosi sulle linee melodiche dei brani e creando gonfie nebulose (come in IV, o in Geographic), ora ruvide e noise, impegnate in riff incandescenti (Get Tight, tra Swervedriver e rilettura grunge/stoner, o l'imponente Kenworth).
Non manca quindi una pluralità di declinazioni, tutte però -e questo è uno dei meriti dell'album- integrate in un'unica visione, per un album compatto e coerente. Certo, il tutto sembra funzionare così bene perché sembrano essere stati assimilati a puntino i canoni del genere. Ma non solo: c'è anche una buona scrittura, oltre che una buona tecnica manipolatrice che da slancio alle dinamiche shoegaze, sempre dinamiche e mai sotto tono. Un già sentito fino ad un certo punto, quindi. E, cosa forse più importante, si tratta di un bel già sentito.
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