City Center

Redeemer

Quando ho letto, sulla veloce (e giocoforza elogiativa) descrizione di Boomkat, «per gli amanti di Animal Collective e Panda Bear», ho creduto che la chiamata non mi riguardasse. Ma devo ancora farmi una ragione di come il canone escluda gli artisti secondo modalità sempre più imprevedibili, soprattutto quelli che arrivano in (pur) leggerissimo ritardo. Di come, cioè, Panda Bear continui a rifarsi il verso seguito da un coro di euforici peana da parte della critica, mentre i City Center non se li caghi nessuno.

“Redeemer” è il secondo disco del duo di Brooklyn, capitanato dallo stacanovista Fred Thomas e completato da Ryan Howard, ed è un disco quantomeno migliore di “Tomboy”. Ci si trova, in effetti, un pop liquido, immerso in una cortina di synth eterei in loop che svisano e deformano tutto, mentre le chitarre giocano sulla propria stessa perdita di consistenza. Shoegaze-ambient-pop, si direbbe, con canzoni e melodie che si stagliano ben di più rispetto all’esordio: Animal Collective superstar (“Cookies”, "Thaw"), A Sunny Day in Glasgow che remixano i Radio Dept. (“Obvious”, bellissima, “After Hours”), ma pure dei Menomena scalpitanti ("Puppers", “Modern Love”) dove le chitarre vanno in primo piano.

E, insomma, un disco pop un po’ folle, ma vivacissimo, e che ha il pregio di sfuggire di mano, di librarsi, non appena sembra incanalarsi in solchi noti: quando “Soft Marauder”, ad esempio, prende un ritornello a cui altri si appiglierebbero con ogni forza, poi elude e devia verso una lunga fuga carnevalesca di effetti baloccanti, riffettini tropical e ritmo tutto controtempi, in un'ondata di echi e riverberi. Un album, appunto, da città di mare, in cui i suoni si dilatano e le melodie viaggiano come sospese a mezz’aria (“Teardrop Children”), con l’esuberanza frenetica delle soluzioni ritmiche a fare da brezza. Peccato per i 2-3 riempitivi (due strumentali), che annacquano troppo.

Per chi si è stufato degli Animal Collective e di Panda Bear.