V Video

R Recensione

6,5/10

Palms

Palms

Certi amori non si dimenticano. Certe passioni non si cancellano. Autentico campione, lo sostengo da sempre, è chi riesce a veicolare un messaggio in maniera sempre diversa: la maniera, appunto. Riveste una sua specifica importanza, accanto a questo, l'immutabilità – o la coerenza di fondo, se provate brividi di rigetto progressista – di ciò che viene comunicato. Modelli di ferrea fedeltà ad una blurred line (fedeli alla linea e la linea non c'è), fino all'estinzione e all'estinzione per inedia, sono stati quegli Isis di cui mai abbastanza si finirà di vagheggiare tanto epopee e conquiste degli anni d'oro, quanto la sublime discrezione nel prendere atto del fisiologico deperimento artistico del nucleo, la decisione irremovibile di farsi da parte per non foraggiare il gioco al massacro sulla propria decadenza. Degli Isis s'inabissa il totem nominale, ma non l'immensa, consequenziale eredità. Chino Moreno, tra i migliori vocalist e frontmen della sua generazione (secondo solo a Mike Patton e Maynard James Keenan, ma superiore sulla lunga distanza a Serj Tankian), ha colto in pieno la possibilità, coinvolgendo in un'avventura smaccatamente retromaniaca tre quarti del gruppo del Massachussetts, di infondere nuova linfa ad un nuovo golem. Di raccontare una nuova storia, con ingredienti noti e stranoti. Di ridare volto e dignità ad emozioni recondite sbertucciate dal canone.

Su “Future Warrior”, canzone – magistralmente orchestrata – a cui tocca l'improbo compito di introdurre l'omonimo esordio dei Palms, cala da subito quell'atmosfera densa, morbosa, da tarda wave catafratta in una corazza di onirico metallo, che così peculiari ed eccezionali ha sempre reso gli incroci intergenere dei Deftones. Su una stairway di progressioni chitarristiche imparate a memoria, si consuma un metamorfico atto di pura commozione, un intenso spaccato di un'epoca cantato a pieni polmoni da uno strabiliante Moreno, megafono di uno sfuggente maelstrom non più post metal, ma tangente al dream, quando non apertamente in copula con lo shoegaze. Otto minuti di crescita esponenziale, al termine dei quali il cuore non può esimersi dal palpitare, colpito in pieno. Bisogna saltare fino a “Shortwave Radio”, al nervoso ed oscuro – ma non fisico – incalzare delle chitarre sul finale, ad una tessitura dark wave di gran gusto travestita con stilettate pumpkiniane, per tornare ancora a sentire, sull'epidermide, i brividi gioiosi di chi temeva d'aver perso per strada una ragione d'essere, salvo poi ritrovarla tutta intera, vegeta, bella come per sempre bella si fissa nella memoria la prima infatuazione.

Se viene facile, quasi meccanico, e sicuramente inutile, scomporre ai minimi termini il blob di questo supergruppo (si può ancora dire?), ben più difficile è cogliere lo sguardo d'insieme, scattare con mano ferma la fotografia critica di brani come “Tropics”, con le sei corde che quasi suonano a vuoto, romantiche ma asettiche, perse nel caldo vuoto della ninna nanna di Moreno, empito solo da una gelatina sintetica di consistenza indefinibile. “Palms” è un disco molto più complicato di quanto esso stesso possa in un primo momento apparire, perché insolitamente frugale, minimale, non chiassoso, non roboante. Tant'è che “Mission Sunset”, con quelle pesanti e cosmiche stratificazioni strumentali prese in prestito dagli ultimi Red Sparowes, alla lunga vanifica il tentativo di Chino di spostare gli asset del pezzo verso territori altri, risultando in definitiva anello debole del platter e conclamato punto di dispersione. Solo a tratti si avverte l'impressione che Palms sia un collage perfetto di Deftones e Isis, laddove l'armonica acidità delle geometrie di “Patagonia” – l'avanzare, quadrato ed immaginifico, è lo stesso di “Backlit” – va a intersecarsi con il trasognato, inquieto mood di fondo. Palms, nelle sue splendide imperfezioni, è un progetto nato per morire, e lo dice uno che dei musicisti odia la tendenza alla proliferazione di side projects troppo effimeri. È così perché così dev'essere. Un disco, uno solo, non eccelso, non impeccabile, non immacolato, ma vero.

Per me, dove non arrivano le parole, parla lo sfumare paradisiaco della seconda tranche di “Antartic Handshake”. Una gelida stretta di mano che divampa, come un incendio.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

NathanAdler77 (ha votato 7 questo disco) alle 0:39 del 11 ottobre 2013 ha scritto:

Nel complesso una riuscita, empatica convergenza tra gli Isis più visionari e i sogni romantici dark-wave di C. Moreno (qui in forma olimpionica per espressività e scrittura). "Shortwave Radio" e "Antarctic Handshake" sono possenti simulacri atmosferici di un credibile "nuovo mondo", quello della sintesi\catarsi nella magmatica cover: il lato oscuro, progressivo e incandescente del dream-pop.