Ride
Nowhere
Prendete un pezzo di ferro; coloratelo per amor di caleidoscopio; affogatelo nel miele. Oltre ad avere un'opera post-moderna dal dubbio valore, vi ritroverete tra le mani l'esempio più pratico e sinesteticamente adatto-adattabile allo shoegaze dei Ride.
Qualcuno di voi sa che rumore fa il ferro quando muore? O le sue leghe, aspiranti pignoli.
Aiutatevi con le automobili, brillanti sull'asfalto: immaginatevi lo schianto, il muso dell'auto che si avvicina (-vicina...-icina...-ina...) al muro; ma non è un muro qualunque, non è uno schianto qualunque. L'impatto non accartoccia le lamiere, non distorce l'abitacolo, non produce un cronenbergico orgasmo sessuale. E' il solido che incontra il liquido, anzi no, il fluido, anzi no, il plasma, anzi no, ditemelo voi...
Sonorità noise che sfondano barriere dream. Lo scontro che non distrugge ma trasforma.
Odore di gomme bruciate, si parte: e si scalano le marce, uno due tre, esplosione strumentale e vocale, quattro cinque, testi che parlano di precarietà e di ascesi, di distanze fra gente che "osserva" a terra e gente che "vola" in cielo, come gabbiano fa ("Seagull").
Ancora all'inizio del viaggio, ma già a tutta birra, i quattro amichetti inglesi, che di british hanno ben poco, corrono come forsennati per l'autostrada, guidati dalla possente voglia di raccontare e suonare e dalla troppa caffeina di notti insonni, centellinate a (non) pensare ("Kaleidoscope").
"Strafare" verbo esatto, difetto-merito di gioventù.
Poi, all'improvviso, si ritrovano a vagheggiare: nessuno slancio euripideo di donne troiane in rotta di schiavitù, no. Ma voglia di estraniarsi, questo sì; l'alienazione è già nel rallentato rullo di tamburi iniziale, nel primo riff di chitarra, nei successivi vocalizzi sognanti e distesi, supportati da un'alternanza di accompagnamenti prima dream, poi aciduli, prima aciduli, poi dream. In questa non dimensione spazio-temporale, in quest'anacronistica "Era di Plank", riconosciamo i contorni belli, le linee curve e le distese oceaniche del "Nowhere" di copertina; il "nessun dove" che ci aggrada... ("In a Different Place").
Ormai paradigma a tinte chiaroscurali, il wall of sound del disco vieni più volte attraversato, come nebbia bastarda, dalla macchina-Ride che sfreccia ormai a pelo d'autostrada, alle volte seguendo le note "tremule" delle chitarre e delle ugole di Bell e Gardener ("Polar Bear"), altre sbandando senza punti di riferimento alla ricerca dell'oscurità perfetta, di quel pessimismo cosmico che è grazioso fiore appassito nelle vallate del carpe diem shoegaziano; come il testo [..."why do we always fall so fast?"], così la sostanza sonora, complici accordi al cherosene delle chitarre e l'impronta para-marziale dettata dalla batteria ("Decay").
Astutamente al riparo dietro la tastiera del computer, parlavo giusto poco fa di combustibili; ma stavolta l'ho fatta grossa, mi è sfuggita una scintilla di troppo: fuoco! Rogo! Fiamme! Noise! Saltellando da un campo semantico all'altro vi parlo di rabbia, di desideri impossibili, di barriere rumorose e corrosive, di esplosioni orgiastiche di tom e crash e grancassa, di chitarre luccicanti e abbaglianti, di una voce impalpabile, di terremoti strumentali nei ritornelli; ecco lo scontro che non distrugge ma trasforma ("Dreams Burn Down").
Quante colombe rimangono? Il problema è un altro: quanti cilindri rimangono...
Stasi ed estasi convivono nei ritmi e negli assoli ipnotici che si librano come falchi (alti levati) oltre le gole e le creste di sogni galleggianti; la riscoperta di una piacevole immobilità interiore, tutta affidata a vocalizzi a mezza voce e schiarite dream, a tratti slow-core, degli strumenti a corda ("Paralysed"). Nell'On the Road dei Ride non mancano sterzate psichedeliche, amplificate dai ricami di violini sospesi a mezz'aria sul finire ("Vapour Trail").
A questo punto sarebbe finito "Nowhere"; uso il condizionale perchè con l'uscita di una riedizione in versione CD (inizialmente era un LP) sono state aggiunte altre tre tracce, prese di peso dall'EP "Fall". Degna di nota, soprattutto, l'omonima: dai terreni spaccati da riverberi sconnessi, stacchi noise e vibrazioni distorte fuoriesce il magma sialico delle chitarre e della batteria che, prima lento e viperino, viene poi eruttato a massima potenza a mo' di fontana zampillante ("Nowhere")
A questo punto sarebbe ri-finito "Nowhere"; di nuovo il condizionale, ancora un'altra edizione. Nel 2001 viene rilasciata una nuova versione dell'album, questa volta con altri quattro brani extra, che rappresenterebbero in realtà l'intero corpus dell'EP "Today Forever". Poco d'aggiungere comunque... perlomeno nulla che non sia già stato detto, suonato, raccontato.
Ora sta a voi mettervi in viaggio con questi quattro giovani "guardascarpe" inglesi. Ma prima, un consiglio: mettete benza va'.
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