S.C.U.M
Again Into Eyes
La vitalità della scena inglese di quest'anno è destinata a non rimanere un fuoco di paglia: una lunga carrellata di uscite che hanno destato dal torpore un mercato discografico dato per spacciato, la promettente alleanza tra popolarità e qualità che ha riscritto canoni e linguaggi e la completa trasversalità della stessa operazione (dalle invenzioni elettroniche di Blake al vigore rock dei Chapel Club) sono tutti ottimi segnali di ripresa. Insomma, un anno denso e colmo di creatività, musicalmente parlando.
Ed ecco che in questo alveo si colloca l'esordio degli S.C.U.M (riferimento al manifesto femminista di Valerie Solanas, “Society for Cutting Up Men”), nuova tappa per questo rinascimento rock che sembra tendere verso ampi orizzonti. Siamo in casa Horrors, questa la prima impressione (confermata peraltro dalla presenza in organico di Huw Webb, fratello del bassista della sopraccitata band). Ma occorre approfondire, perché non tutti i conti tornano. Sebbene i punti di contatto tra le band siano innegabili, le direzioni prese da questo "Again Into Eyes" sembrano volgere verso altri lidi, approfondendo aspetti che in "Skying" erano accantonati (le canzoni ad esempio), dando forma ad una sorta di meta-shoegaze dalle tinte fosche, reso traslucido dall'utilizzo dei synth ma dotato allo stesso tempo di una notevole massa grazie ad una dedizione al riempimento e al sovraccarico, per corpi sonori gonfi e gorgoglianti.
Un brano come "Days Untrue" è l'ideale per sviscerare gli elementi caratterizzanti degli S.C.U.M: c'è la muscolarità dei Chapel Club unita però alla presenza in sottofondo di evanescenti linee di synth che si infittiscono per tempestare della loro presenza un ritornello infuocato. L'istrionico vocalist Thomas Cohen fa la sua parte con un timbro vibrante e nasale, per nulla travolto dall'impeto di una line-up davvero massiccia. Il magma sonoro che sussulta sembra incontenibile ma evapora sul finale, dando spazio ai toni atmosferici di "Cast Into Season". E qui siamo all'altra faccia della medaglia, quella glaciale, rigorosa, misterica, che ci accompagnerà a fasi alterne per tutto l'album. Una dark-wave algida che richiama tanto i Red Temple Spirits quanto i momenti più solenni dei Dead Can Dance, in un intreccio psichedelico di grande fascino. Di nuovo spicca l'abilità nel creare un paesaggio sonoro densissimo ma definito, dove ogni elemento svolge un suo ruolo armonico ma in perfetta autonomia. Siamo pronti a questo punto per metabolizzare la splendida "Summon The Sound", una della vette dell'album, infernale discesa in un paesaggio infestato, dove le lame del synth dilaniano la rutilante sessione ritmica, inserendosi trasversalmente conferendo al brano – assieme al supporto delle chitarre sfibrate in lancinanti distorsioni – un aspetto venefico e minaccioso.
Tornando all'altra faccia della medaglia ecco "Sentinal Bloom", raffinata creatura electro-pop, anello mancante tra Horrors e M83, "Paris", elegia autunnale che, partendo da una base di piano, si trascina su strascichi di chitarre ed effetti brulicanti sul sottofondo, la conclusiva "Whitechapel", dominata da un basso al galoppo, spigliata e smaccatamente pop, proprio come la precedente "Faith Unfold". Brani, questi due, che rivelano tutta l'abilità nello scrivere pezzi fruibili, colmi di carica melodica ma anche attenti alla messa in scena di soluzioni innovative e stranianti (i giochi di trasparenze delle tastiere, l'effettistica delle chitarre, i rigonfiamenti e le smorzate in dissolvenza).
Rinascimento (pop) rock, abbiamo detto. Speriamo. Se non fosse così questo 2011 sarà comunque ricordato come un anno incredibilmente prolifico, ricco di promesse per il futuro e di traguardi acclamati. "Again Into Eyes" andrebbe annoverato tra questi ultimi: un altro ottimo esempio di come la tensione tipica di un periodo di crisi possa costituire uno stimolo per l'elaborazione di linguaggi innovativi. Concludendo, la musica pop è ancora in carreggiata e non smette di stupire.
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