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R Recensione

7,5/10

Stella Diana

57

Iscritti alla devozione astronomica per il pianeta Venere, non a caso la dea dell'amore e della bellezza, gli Stella Diana (Dario Torre, Giacomo Salzano, Giulio Grasso) sono un punto fermo nella scena alternative partenopea (che essi stessi provano per primi a stimolare e rinnovare in una situazione sicuramente difficile) e si sono affermati - in una successione crescente sul piano qualitativo e della ricchezza dei suoni - nel panorama italiano (quello che qualcuno chiama "italogaze") e suscitando finalmente attenzioni anche a livello internazionale. Il loro prossimo disco si intitola "57" come Mnemosine, un grande asteroide della fascia principale scoperto da Karl Theodor Robert Luther e come la cometa Toit-Neujim-Delporte, frantumatasi in 19 frammenti dopo essere entrata in "outburst" e sublimando così la spettacolare espansione della sua chioma.

Il disco uscirà ufficialmente il prossimo 18 maggio per la Vipchoyo Sound Factory (che poi sarebbela label di Giacomo Salzano, bassista e producer del gruppo) e in Spagna per la Siete Senoritas Gritando. Per la seconda volta dopo "Nitocris" (2016) il gruppo scrive esclusivamente in lingua inglese, una scelta che considero coerente con quell'orientamento internazionale e con il suono espansivo del gruppo e che al di là di non ledere la qualità delle composizioni liriche, conferisce nel complesso al disco una forma più allineata a quelli che sono i modelli storici, dalle reminiscenze new wave di Echo and the Bunnymen, Joy Division, Chameleons al sound Ride, Lush, MBV di inizio anni novanta fino a quelle visioni sfumate e gli "happening" tipici dei Bauhaus.

Ma "57" non è un disco citazionista. Orientato a sfumature fantascientifiche che non sono casuali (Dario Torre è anche autore letterario di genere, il suo primo romanzo intriso di cabala e misticismi sci-fi, "Domino", è stato pubblicato nel 2016 su Milena Edizioni), è perfettamente calato nella (ir)realtà del suo tempo e contribuisce a ridare lustro a un genere che in molti casi si perde in una deleteria estetica "indie". Fedeli alla propria natura alternative, gli Stella Diana plasmano miscele di ferro, nichel e silicati in visioni lisergici ("Lurine Rae", "Iris"...), vigorosi giri di basso ("Mrs Darling", "Der Sandman"...) e sezioni ritmiche che rimandano alla wave più ispirata come "Do Androids..." (con la collaborazione di Sebastian Lugli dei Rev Rev Rev) e soprattutto in quel chaos esistenziale tipicamente shoegaze. Eppure allo stesso tempo pezzi come "Harrison Ford" oppure "Ludwig" dimostrano come si possano veramente scrivere solide canzoni dreampop senza rinnegare le proprie attitudini musicali anzi allargando queste oltre ogni confine segnato fino a questo momento.

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