SULK
No Illusions
Rischiavano di far la parte della solita meteora, i SULK. E invece no: la band londinese che tre anni fa, assieme a realtà come Peace, Jagwar Ma e Swim Deep, pescava a piene mani nella riscoperta del Madchester sound, dimostra, con questo secondo No Illusions, di essere più viva che mai. Le coordinate sono le stesse di Graceless, ma ogni brano risulta potenziato, con molta più attenzione prestata ai dettagli e, al contempo, alla spazialità dei brani.
Si parla quindi di un britpop saturo di torpori baggy e di riverberi shoegaze, il tutto solidamente ancorato al duo Jonathan Sutcliffe / Tomas Kubowicz, la cui interazione costituisce il principale perno attorno cui ruota la creatura SULK.
Il protagonismo di Kubowitz, in particolare, qui ancora più focalizzato ed esuberante, continua a rappresentare il più appariscente propulsore della formula messa a punto dalla band: le sei corde rivendicano costantemente un protagonismo capace, più che svolgere una semplice funzione di accompagnamento, di dettare il passo ai brani in scaletta. La chitarra ricama trame in linea con la melodia, poi incalza, serpeggia, si libra in arabeschi (quelli di The Only Faith Is Love, ad esempio) e contrappunti che costringono i pezzi a virate improvvise, a surriscaldamenti repentini, oppure a distensioni estatiche e dilatate.
Così, fin dallopening Black Infinity (Upside Down), il meccanismo pare oliatissimo: la chitarra intarsia un motivo circolare mentre lo spazio armonico si riempie progressivamente, scandito dallo stomp delle pelli, fino allordito etereo della chitarra ritmica e delle sue pennellate fluttuanti (la riffologia di Andrew Needle: altro valore aggiunto). Ovvio, il ruolo di Sutcliffe non è per nulla secondario, anzi: a lui il merito di gestire brani plastici, dinamici, riuscitissimi (anche) dal punto di vista melodico. Le variazioni cromatiche sono molte: le giravolte baggy di No Illusions e Queen Supreme, la ballata shoegaze di One Day, la scorribanda sonica dellirresistibile Past Paradise (gioiellino davvero: qui convivono ben rimasticati trentanni di pop britannico -dagli Stone Roses ai Chapel Club-, riletti con una sorprendente originalità e inventiva -vi bastino le acrobazie della chitarra solista), o ancora la psichedelia luminescente e vaporosa di Another Man Fades Dawn.
I filtri della nostalgia e del revivalismo non paiono più (se mai lo sono stati) adeguati per descrivere ciò che succede nel pop contemporaneo: categorie che costringono a tenere lo sguardo rivolto allindietro, mettendo in secondo piano quanto di innovativo (o di fresco, attuale, alla moda fate voi) sappiano offrire le giovani band in circolazione. I SULK, oggi, rappresentano qualcosa di più di una promessa. Secondo colpo a segno, avanti così.
Tweet