Tripwires
Spacehopper
Il nuovo brit-rock non smette di regalare piacevoli sorprese. Una di queste è l'esordio dei Tripwires, band di cui è impossibile non citare il passato di ex cover band degli Slipknot. Tranquilli, con quella robaccia il quartetto di Reading ha chiuso ogni ponte (errori di gioventù, a tutti concessi), consacrando infatti il suo esordio Spacehopper ad un brit-pop affogato in espansioni shoegaze.
Prendete i primi Verve, certi rimandi ai Placebo (il vocalist Rhys Edwards ricorda, a tratti, il timbro androgino di Brian Molko), i Radiohead fase The Bends e immergete tutto in fuzz, distorsioni e riverberi. Il gioco è fatto: i Tripwires mixano questi ingredienti in un personalissimo caleidoscopio sonoro, regalandoci un'ulteriore -brillante- interpretazione delle contemporanee tendenze british.
Una formula che i nostri esplorano in tutte le sue varianti, nel corso degli undici brani dell'album. Si prenda Shimmer, (power)brit-pop dove gli influssi Radiohead sono tanto presenti quanto trasfigurati colmando lo spettro sonoro di sferragliate chitarristiche che ondeggiano con grande fluidità tra sferzate roboanti e ovattati rallentamenti psych. Le intuizioni sono ancora molte, però. Plasticine è un brit-rock tutto teso al gancio melodico del refrain, reso irresistibile dal motivetto sintetico, Under A Gelatine Moon torna a giocare con un Thom Yorke in acido, Love Me Sinister e Catherine, I Feel Seek sono lente composizioni neo-psichedeliche costruite sugli strascichi in accumulo delle chitarre. E poi ci sono pezzi come A Feedback Loop of Laughter, Paint, Tin Foil Skin, (senza contare la lunare Wisdom Teeth), ad abbracciare un linguaggio squisitamente pop, abbarbicato in un agglomerato giocoso e trasognato di chitarre melliflue e magnetiche, saliscendi stordenti, liriche suadenti e motivi di synth giocosi e catchy.
Un esordio davvero promettente. La capacità della band di armeggiare con la grammatica pop è esemplare, la fluidità del songwriting è già quella di una band matura (nonostante una bella dose di freschezza e spontaneità adolescenziale), la cura delle trame chitarristiche e delle bizzarrie in fase di arrangiamento è propria di chi non lascia quasi nulla al caso. Un plauso a Spacehopper e ad una scena che continua ad avanzare (e divertire) non poco.
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