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R Recensione

6/10

Puscifer

Money $hot

È ormai chiaro a tutti, giovani adepti e discepoli invecchiati nell’attesa, che mai arriverà il quinto disco studio dei Tool: e anche qualora arrivasse, qualcosa ci suggerisce che sarebbe meglio non esistesse (in forme e proporzioni ben diverse, valga il succo del messaggio anche per chi invoca nuove forme di vita dai mummificati System Of A Down). Nei (quasi) dieci anni di iato da “10,000 Days”, Maynard James Keenan e compagnia hanno passato tutto il tempo a dissacrare sé stessi, il loro passato e, soprattutto, il loro pubblico. Quando i Tool si vestono da Led Zeppelin e salgono su un palco, lo scorso Halloween, per la prima volta in un anno e mezzo, per ripescare la vecchia cover di “No Quarter” (già compresa nel box set “Salival”, 2000), l’intento ferocemente goliardico che da sempre li contraddistingue si colora di rinuncia esplicita del proprio ruolo mediatico e musicale: piantatela, i bei tempi sono andati, non parleremo più di fisting anale e di trascendenza al divino, abbiamo tutti passato i cinquanta, teniamo famiglia, fabbriche di vino, anche trapiantate e studi di design. Di questo limbo – una pantomima ormai autoreferenziale – non si scorgono inizio né fine, né gli indizi finora raccolti sembrano indicarne un’evoluzione in qualsivoglia direzione.

A questo punto, non casualmente, si ritorna a parlare di Puscifer. Al che, esaurito – dopo un lasso di tempo certo non interminabile – lo spettro di novità offerto dal nuovo “Money $hot” (a otto anni di distanza dall’esordio “V Is For Vagina”, a quattro dal sophomoreConditions Of My Parole”), si moltiplicano i dubbi. Quanto di Puscifer è avanspettacolo, quanto parodia, quanto effettivo stato mentale e artistico? La tentazione di viverlo come i precedenti capitoli, prodotto-specchio ad uso e consumo del suo mecenate, salace raccolta di facezie da far circolare per soli intenti ludici, è forte, ma sarebbe una valutazione errata e settaria. Se la matematica non è un’opinione, diversi conti non tornano. Gli intricati labirinti ritmici digitali di “Galileo” aprono la strada ad una cold wave d’ampio respiro e di sentita partecipazione (molto contribuisce la bella voce femminile di Carina Round, giustamente messa in rilievo). Circa venti minuti dopo, i synth di “The Arsonist”, raggruppati in incastri lateralmente progressive, danno vita ad un profondo ritratto biografico. A stretto giro di posta, Keenan riveste i panni del profeta generazionale e, in una notevole “The Remedy”, gioca a ricostruire gli A Perfect Circle attraverso i Motorpsycho di “Timothy’s Monster” (gli elementi ci sono tutti: melodie sbilenche, bassi distorti e plettrati, crescendo, fughe emozionali).

Questa volta, insomma, una copertina grottesca e tamarra non può – non vuole? – oscurare uno shift nel mood e nel modus di Puscifer, più maturo e riflessivo, come conferma lo stesso Maynard. “Money $hot” è, d’altronde, un corpo andatosi a costituire lungo tre intensi anni, che ha visto collaborare fattivamente tre signori batteristi (Jon Theodore dei Queens Of The Stone Age, Tim Alexander dei Primus, Jeff Friedl degli A Perfect Circle), oltre ad alcuni ospiti inattesi (come il figlio di Keenan, Devo, al violoncello). Tanto sforzo, ad onor del vero, è avvertibile solo a tratti: in una soave “Agostina”, ad esempio, o nell’elettroacustica mediorientale del singolo “Grand Canyon”, dove le linee vocali di Maynard, trattate e riverberate, si avvicinano curiosamente a quelle di Matty C dei Concord Dawn. Il cambio di prospettiva, ça va sans dire, rade al suolo certuni dilemmi, ma ne ingigantisce altri. Cosa ci sta a fare, lì in mezzo, il modestissimo industrial della title track? Perché, allora, tanta, tale prolissità nell’andamento carpenteriano di “Simultaneous”  (oltre metà brano è occupata da un pur significativo storytelling esterno: troppo), nella mancanza totale di sussulti della conclusiva “Autumn”, nei Bauhaus di terza mano alla carica in “The Life Of Brian (Apparently You Haven’t Seen)”? Delle due l’una: o la disomogeneità è frutto di un controllo artistico alquanto anarcoide, oppure alla corda sono messi in fila tutti i limiti della scrittura di un Maynard fuori dalla cupola-main project.

Ancora una volta, non ci si riesce a decidere. Sarà perché non c’è assolutamente alcuna scelta?

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Voto degli utenti: 6,3/10 in media su 2 voti.
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gianni m 5,5/10

C Commenti

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fgodzilla (ha votato 7 questo disco) alle 11:00 del 11 dicembre 2015 ha scritto:

Sommo per una volta devo dissentire sulla tua rece

sei piu' un innammorato deluso dei tool , e leggendo le tue meravigliose rece si capisce, che un giudice obiettivo su quest ultimo lavoro di Maynard e soci .

Mi sembra un disco discreto con alcune punte Agostina e il singolo The remedy che molte band emergenti ucciderebbero per poterlo scrivere ....

detto questo i Tool forse e probabilmente non torneranno piu' come di ci tu , diffatti tutto evolve e muta ...certo spesso non sempre per il meglio.

Respect .!

Marco_Biasio, autore, alle 22:46 del 11 dicembre 2015 ha scritto:

Uhm, ma mi sa che siamo sulla stessa linea d'onda, sai! Innamorato dei Tool, non c'è dubbio, ma deluso non direi: io per primo credo che la loro funzione sia venuta meno, specialmente nel corso degli ultimi anni, e che in fondo non serve veramente un successore di 10,000 Days (con quattro dischi hanno rivoluzionato il metal: a cinquant'anni può bastare). Per quanto riguarda i Puscifer, li ho sempre considerati il side project cazzaro ed estemporaneo di Maynard - lui stesso ha sempre fatto di tutto per farlo diventare. Posso accettare, alla luce delle sue recenti dichiarazioni, una "svolta" o conversione seriosa. La qualità mediamente più elevata di alcuni brani - sicuramente The Remedy, il migliore, e Agostina, ma anche Galileo e The Arsonist - deporrebbe a favore di questo orientamento. Epperò, come scrivo nella recensione, accanto a questi pezzoni si trovano banalità assolute (la title track), passaggi pesanti e iperprolissi (Autumn) e robe ibride senza senso, come Simultaneous. Da qui la domanda: se Puscifer è diventato "serio", la netta disomogeneità della scaletta segnala che l'estro di Maynard si sta esaurendo? Oppure, rovesciando le prospettive: se Puscifer rimane il side project cazzaro di Maynard, perché infilarci dentro degli episodi degnissimi almeno di un disco degli A Perfect Circle (come la già citata The Remedy)? Uno ci ragiona sopra, ci gira intorno e alla fine - come concludo nella recensione - non riesce a decidersi, forse perché una vera scelta non c'è, è tutto giocato sull'ambiguità. Mi pare che a separare i nostri giudizi sia solo una stellina, ma non la sostanza. O ho interpretato male?

fgodzilla (ha votato 7 questo disco) alle 15:31 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Assolutamente no o o Sommo assolutamente Sono daccordo su tutta la linea !