Baustelle
I Mistici dell'Occidente
Il contratto prevede un disco ogni 18 mesi per un totale di tre dischi più opzione per un quarto. Con un pochino di ritardo i ligi Baustelle consegnano il master de I Mistici Dell'Occidente al colosso Warner/Atlantic: è il ritorno di una delle band di maggior spessore dell'ultimo decennio, protagonisti di una crescita esponenziale (artistica e di riscontro commerciale) senza dubbio ragguardevole.
Per il nuovo lavoro i Baustelle, definitivamente ridotti al trio Bianconi-Bastreghi-Brasini, si servono di una sezione ritmica di pura seta cachemire: il bassista Alessandro Maiorino (già con loro nel precedente album e sessionman per jazzisti di fama internazionale come Petrella, Rava, Basso), e il batterista Zeno De Rossi (Enrico Rava e Capossela) che divide i tamburi con lo statunitense Gary Sullivan. La scelta per la produzione e missaggio cade su Pat McCarthy, balzato agli onori della cronaca per i suoi lavori con i R.E.M. (in verità si tratta degli ultimi scialbi dischi della band di Athens).
Molto si è dibattuto riguardo la sempre più cristallizzata formula di colto citazionismo maniacale che affligge l'epopea baustelliana, i più intransigenti lamentano qualche (innegabile) ammiccamento lirico di troppo ai cosiddetti giovini intellettualoidi radical-chic, una cosa è certa: i Baustelle si sono trasformati in un gruppo malinconico e sconsolato, hanno perso il fresco sense of humour dei primi lavori, la componente cazzeggiona nella loro opera è svanita. Anche i sensazionali singoli di un tempo cominciano a latitare: l'ultimo veramente efficace è stato La Guerra È Finita.
Ad anticipare l'uscita del nuovo album ci pensa il singolo Gli Spietati, esile retro pop rafforzato nelle strofe da una sezione fiati che riecheggia le colonne sonore di Gianni Ferrio.
È la prima volta che i Baustelle ripercorrono orme già tracciate, per buona parte I Mistici Dell'Occidente si muove nello stesso scenario del suo brillante predecessore: si riparte quindi da dove era terminato Amen, dalla splendida mini suite Ethiopia/Andarsene Così. L'Indaco ne conserva il tratto solenne, la lucida poetica, il perfetto bilanciamento melodico. La lunga introduzione monastica, la dilatata fuga in crescendo e l'ipnotica coda del flauto traverso sono qualcosa di strabiliante grazia e beltà.
Tutti i brani, naturalmente, mantengono le caratteristiche ricorrenti della forma-canzone baustelliana, compresa una miriade di citazioni più o meno velate: da Pasolini a Montale, da Yanez de Gomera a Battiato, eviteremo di incartarci nella gazzarra delle interpretazioni che, ne siamo certi, potranno prestarsi alle ipotesi più diverse e contraddittorie. La seconda traccia, San Francesco, riporta il disco alla prevedibile modalità pop rock ortodosso; molto più interessante la titletrack, nella quale elementi cantautorali e respiro sinfonico si fondono con la indomita passione spaghetti western del trio toscano. È a questo punto che accade l'impensabile: quella che si preannuncia come la coda strumentale più interessante del disco senza una motivazione plausibile viene mozzata, proprio quando una flessuosa tromba inizia a volteggiare sullo spartito in un solo di grande impatto emotivo. Un errore di valutazione imperdonabile. Irrimediabile.
Il pop pungente di Le Rane (la scelta migliore per un singolo), è un'amara e irreversibile riflessione in stile Ragazzo della Via Gluck, su di un incedere ritmico che rasenta la Coffee & TV dei Blur. Lontani echi di sofisticatezze modello La Moda Del Lento emergono in Follonica e Il Sottoscritto, due tracce da annoverare tra gli episodi migliori del disco, così come il belcantismo da soundtrack di Groupies, mentre La Canzone Della Rivoluzione è un rock tirato assolutamente superfluo.
Amen ci aveva regalato una Rachele Bastreghi in grande spolvero sia in veste di cantante che come compositrice e arrangiatrice, il nuovo disco ce la restituisce decisamente più in ombra: un semplice calo d'ispirazione o un giro di vite voluto dal Bianconi? Fatto sta che per ascoltare la sua voce (eccezion fatta per un paio di strofe ne Gli Spietati) bisogna aspettare la nona traccia, La Bambolina, musicalmente pregevole, concettualmente una ramanzina abbastanza logora.
Ci si avvia alla conclusione con le gradevoli palpitazioni di L'Estate Enigmistica, tratta dalla collezione primavera-naif del Sussidiario Illustrato Della Giovinezza. In chiusura la quieta disperazione di L'Ultima Notte Felice Del Mondo: una tromba dallo stile leggero e discorsivo ne tratteggia il profilo epico, ma è ormai tardi per il rimpianto e il rimorso, a questo punto la voce della Bastreghi si è trasformata in qualcosa di vulnerabile e letale.
I Mistici Dell'Occidente finisce qui: nessun miracolo. I primi due dischi della band toscana rimangono ineguagliabili (speravate di sentircelo dire eh?), e lo diciamo senza farci attanagliare dalla nostalgia canaglia: anche leffetto sorpresa si è esaurito, ma chi li aspettava al varco con le carabine puntate dovrà riporle nell'armadio, o quantomeno caricarle a salve. Il nuovo disco dei Baustelle è uneccellente lezione di prevedibilità.
Tweet