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R Recensione

4/10

Fulvio Spagnolo

Sono io lo storpio

La nonna gli regalò una chitarra giocattolo, una di quelle colorate che a mala pena provocano qualche strimpellamento. Cominciò così la voglia di suonare e creare per Fulvio Spagnolo.

Lui la chitarra la usa ancora adesso. È il suo strumento più essenziale. Quello con cui suona, prova e ancora adesso crea. Riesce a realizzare melodie, che se diventano ritornelli o semplici orpelli musicali non ha importanza. Lui crea. La sua musica è arte, la stessa arte che nel 2007 in seguito ad un grave incidente l'ha salvato.

Un EP nel 2007 e nel 2011 il disco d'esordio: Sono io lo storpio.

I pezzi raccontano uno spaccato di vita molto importante per il cantautore leccese, classe 82, ma paradossalmente sono tutte storie a sé. Talune sono nate in fase di registrazione, altre più personali e intime (cosa ci ammazza).

Un sentimento comune dunque, tante storie diverse e collegate tra di loro.

Ci si potrebbe scommettere sui gusti musicali di Fulvio. Dando un ascolto rapido all'album si potrebbe ritrovare Battisti e De André. E i brani non mentono; il giovane afferma che i due cantautori citati sono gli unici ad aver dato qualcosa alla musica italiani, gli artisti di oggi invece sono dati tutti in pasto alla commerciabilità. Affermazione del tutto discutibile, magari addirittura un po' troppo supponente. Anzi, pienamente supponente. Gli artisti giovani e talentuosi ci sono. Che poi non riescano ad emergere e farsi conoscere è un altro discorso. Quei due grandi musicisti hanno cambiato si, la musica italiana, contribuendo all'espansione della musica popolare a partire dagli anni '60. Ma per l'appunto è stato un periodo. Per fortuna il panorama musicale italiano, seppur in triste minoranza rispetto al passato, è riuscito a evolversi.

Ritornando a Spagnolo. Classico disco. Non aggiunge e non toglie nulla alla musica italiana – e forse non aveva tutti i torti quando Spagnolo affermava che non c'è poi molta ispirazione tra i cantanti di oggi. Se Fulvio Spagnolo dovrebbe essere paragonato a un Moltheni, piuttosto che ad un Vasco Brondi non reggerebbe il confronto. Obbiettivamente il disco non risulta nemmeno ben prodotto. Non va oltre la classicità del sound. Forse un po' convenzionale. Troppo. Qualche virtuosismo in più non guasterebbe. Virtuosismi non tanto nella voce, ma nel modo di comporre musica.

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