V Video

R Recensione

5,5/10

Gwen Stefani

This Is What The Truth Feels Like

È una vita che sogno di dare dell’imbecille a Gavin Rossdale: ma come, quando trovare l’occasione propizia, irripetibile? Ci sono: userò la cronaca rosa. Se già gli antichi greci spettegolavano da mane a sera chi sono io per sottrarmi, John Wayne? Partiamo da un assunto fondamentale: come fai, con una moglie come Gwen Stefani, a trombarti la babysitter? Hai avuto la fortuna, stupido coglione, di trovarti al tuo fianco una delle più intelligenti, autoironiche e – diciamolo – fighe protagoniste dello showbiz, e le pianti un palco di corna che al confronto la madre di Bambi era un uovo di Pasqua? (Il male alla radice sono i Bush, l’ho sempre detto. Un giorno scopriremo che era tutto un complotto: loro, i Nickelback, i 3 Doors Down e qualche altro gruppaccio, la via alla tamarraggine americana chiome al vento e ballad svenevole nel taschino. Meglio fermarsi qui.) Non ci è mica rimasta tanto bene, Gwendolyne Renèe, e vorrei vedere a parti inverse, ad affrontare una richiesta di separazione con un figlio ancora attaccato alla tetta. Pagherei per vedere la faccia da cazzo che devi aver fatto dopo il fattaccio: perché la tua ex moglie è una donna tanto forte quanto determinata e, quando vuole portare a termine una cosa, lo fa.

Prendiamo, ad esempio, il processo di lavorazione del suo terzo disco solista, “This Is What The Truth Feels Like”, il successore del cotonatissimo e sfortunato “The Sweet Escape” (2006). L’uscita era inizialmente prevista per fine 2014: due singoli, entrambi prodotti da quel volpone di Pharrell, dovevano servire da ideale antipasto per la portata completa. Ok: il reggaeton di “Baby Don’t Lie” (infiorettato da un video fortemente sconsigliato agli epilettici) e il dancefloor indisponente di “Spark The Fire” facevano effettivamente schifo. Lo hanno capito tutti: il pubblico, la critica, il team di produttori, la stessa Gwen. Che, appunto, da donna tanto forte quanto determinata, ha deciso di bloccare tutto e ripartire da capo (quello che avrebbe dovuto fare anche con lo sciagurato ritorno dei No Doubt, “Push And Shove”). Sottotitolo per chi volesse rilanciare una nuova serie televisiva: come ritrovare sé stessi nei propri periodi peggiori.

Essere forti e determinati implica, in primo luogo, affrontare il ridicolo e saperlo dominare. Nel concreto: colmare con un solo balzo una decade di pop culture, cercando di non perdere un briciolo dell’iconicità sfoderata sul magistrale “Love. Angel. Music. Baby” – ma essendo altrettanto coscienti che i 35 anni di allora sono diventati 47, cifra oramai non trascurabile. Quant’è vero che tutto è relativo a questo mondo! Se Gwen Stefani ha davvero 47 anni, io sono Jaco Pastorius. E se davvero un brano come “Misery” (con un ritornello che recita, cito, “Pull me out of my misery / Hurry up, come see me / Enough, enough of this suffering”) può essere definito “a really happy song” dalla sua autrice, solo perché mette assieme handclappin’, ritmi in levare e certe drammaticità passatiste della dance Noughties, non c’è più religione. Bel pezzo davvero, tra parentesi. Come particolarmente riuscite sono le chitarrine funk ad inserirsi sulla cassa dritta luccicante di “Make Me Like You” (no, non proporremo quel metro di paragone), la solare spensieratezza ska di “Where Would I Be?” e gli arrangiamenti stratificati di “Rare” (un’autobiografia di assoluta sincerità: “I am broken, I am insecure / Complicated, oh yeah that’s for sure / I feel worthless, I’ve been hurt so bad / I get nervous you won’t love me back”). Capito, imbecille di un Rossdale?

Alla scrittura di molti pezzi hanno collaborato Mattias Larsson e Robin Fredriksson (noti come Mattman & Robin), J. R. Rotem e Greg Kurstin. Uno schieramento armato di tutto rispetto, sulla cui imponenza tuttavia ci si interroga quando si devono affrontare certuni nodi della tracklist, non derogabili. Per dire: perché andare dietro al peggio del peggio del pop latino, con quel reggaeton insulso di “Send Me A Picture”? Perché dar modo a quell’ectoplasma di Fetty Wap di mettere becco su “Asking 4 It” – e perché tutte quelle sovraincisioni, quell’aria da criceto da laboratorio pronto per essere impacchettato e suonato al massimo volume in qualche club di periferia? Ancora: perché, in “Red Flag”, tentare di rifare “Hollaback Girl” (pensiero condivisibile) con un pacchianissimo ritornello infarcito di archi sintetici nel mezzo (pensiero orrendo)? Possibile che Mattman & Robin non avessero nella manica suoni diversi da quelli delle recenti hit di Justin Bieber, per una “Truths” altrimenti godibilissima? E perché scivolare sulla buccia di b-a-n-a-n-a dello slancio strappalacrime (“Used To Love You”), perdipiù indirizzato a quel gran coglione di Gavin Rossdale? Dai, Gwen, non disperarti per un minchione del genere.

Il sospetto – detto, lo avrete capito, da un grande ammiratore della bella di Fullerton, California, cresciuto con “Oi To The World” e “Sunday Morning” – è che Gwen forte e determinata lo sia stata, sì, ma non abbastanza da evitare che il suo comeback solista, nell’ansia da prestazione, suonasse più come una raccolta di figurine, un calendario pigliatutto a caselle anneribili (corrispondenti alle tendenze del momento), piuttosto che come un corpo omogeneo, solido, compatto, quale era “L. A. M. B.”. Ci si muove freneticamente tra una sponda e l’altra, con dissing hip hop incastrati in malefici congegni trap (“Naughty”), rumorosi residui wave arrangiati per chitarre ammuffite (“Splash”), ritornelli da stadio elementari ma non altrettanto coinvolgenti (“Obsessed”) e pizzicori elettronici per fan di mezz’età che, impenitenti, non vogliano comunque rinunciare al dancefloor (“Getting Warmer”). Ogni canzone ha la sua personalità, la sua autonomia: Gwen si sbraccia per far rientrare tutto sotto controllo, col risultato di dilungarsi fatalmente e regalare un disco di oltre quaranta minuti che, nella deluxe edition, diventano cinquantanove, sforando addirittura l’ora in quella giapponese (dove l’album, peraltro, non è andato oltre la 74^ posizione).

Ci dispiace ammettere che, alla fin fine, sia tanto rumore per nulla. Ma Gwen è una donna forte e determinata: ora gira persino con Blake Shelton. Tu con chi giri, invece, imbecille, con la tata?

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Voto degli utenti: 5/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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zagor alle 11:30 del 15 agosto 2016 ha scritto:

ahahahahaahah splendida recensione, soprattutto per le parti dedicate a Rossdale..bravo Marco!!

woodjack (ha votato 5 questo disco) alle 20:37 del 15 agosto 2016 ha scritto:

lol rece divertentissima! voto sacrosanto, mio malgrado... certo che la povera Gwen da LAMB non ne ha più imbroccata una. Gli anni '10 poi, all'insegna del mainstream dei concept vertiginosi (Monae, Del Rey, Cyrus, Banks) e delle produzioni sperimentali (Kesha, Charlie XCX, Ferreira, l'ultima Rihanna, alcune prove di Britney ecc.), contribuiscono a far sembrare un dischetto come questo innocuo e datato. E se non ha recuperato a questo giro dubito che sarà in grado di farlo dopo i 50.