Madonna
Rebel Heart
L'editoria italiana deve al sottoscritto un bel po' di denaro. Per tutti gli anni '80, infatti, ero abbonato a riviste discutibili come "Tutto Musica" (uno spin-off di "TV Sorrisi e Canzoni") e "Mattissimo!" (che ebbe un gran successo perché includeva sempre un' audiocassetta). Proprio su una di quelle riviste nel 1987 lessi una notizia che mi lasciò senza fiato: "Madonna in concerto allo Stadio Comunale di Torino". Io all'epoca ascoltavo solo "True Blue" e avevo visto il film "Who's That girl" un centinaio di volte. Con il coraggio dei miei nove anni corsi da mio padre (il quale - come tutte le estati - stava imbiancando il bagno) e quasi gridai: "Papà, mi porti al concerto di Madonna?". Lui scrollò la cenere della sigaretta dall' ultimo gradino della scala direttamente nel water (perché mio padre da il bianco ai soffitti mentre fuma, una specie di Michelangelo assoldato dal Circo Togni) e senza guardarmi rispose: "Io no, ma se vuoi Domenica puoi andare a Messa con tua nonna". Non ho ancora capito se fosse una battuta ben riuscita o se il nome "Madonna" avesse generato un piccolo equivoco, ma la delusione fu devastante. Perchè Madonna in quel concerto fece cose come questa e questa.
A dimostrazione che quella lontana ferita non è ancora del tutto cicatrizzata, la settimana scorsa ho tentato di acquistare un biglietto per la data torinese del "Rebel Heart Tour". Peccato che la politica monopolistica dei signori di Ticketone mi permettesse di ottenere solo il "pacchetto vip party", che alla modica cifra di 486 euro mi offriva la possibilità di partecipare ad un non meglio definito "pre-party". Poiché conosco la mia città, l'idea di un aperitivo vip in compagnia di Simona Ventura, Gigi Buffon e Piero Chiambretti mi ha impedito di acquistare il pacchetto ancora più del suo prezzo.
Spiegare la longevità del successo di Madonna non è semplice, ma possiamo almeno citare tre regole d'oro che sono diventate obbligatorie per tutte le pop-star in cerca di fama: 1) Scegli un nome che le persone possano ricordare 2) Crea uno stile che sia riconoscibile 3) Non fermarti mai, anticipa le mode e inventane di nuove. Seguendo queste tre direttive (e molti altri accorgimenti legati al marketing, ai produttori e chissà cos'altro) abbiamo assistito ammirati all'evoluzione di Madonna attraverso le sue fasi (lolita, anticonformista, divina, erotomane, glamour, country, mistica, disco-diva) senza sostanziali cali di attenzione o visibilità. E, cosa assai rara nel mondo pop-mainstream, siamo quasi sempre stati costretti ad attribuirle un buon livello qualitativo. Almeno per chi scrive, dal 1983 al 2005 Madonna ha sbagliato poco. Anzi, pochissimo: nei suoi dischi trovavi sempre quella volontà sincera di rinnovarsi e di stupire che la rendeva unica, costantemente avanti rispetto alle colleghe. Anche negli anni '80, quando la concorrenza era di prima qualità, Louise Veronica Ciccone era l'unica che poteva rispondere colpo su colpo ai numeri di Michael Jackson e Prince (non inorridite, fate le dovute proporzioni e riascoltate "Like a Prayer").
Per Madonna, insomma, il tempo sembra non passare mai. Solo lei può permettersi, all'età di sessant'anni (dei quali quaranta sulle scene), di proporre un disco come "Rebel Heart". Un mastodonte che, nella sua versione deluxe, arriva ad un totale di venti pezzi in grado di coprire quasi tutto lo scibile "mainstream-pop" contemporaneo. Madonna, forse per la prima volta nella sua vita, ha l'ansia di dimostrare di essere ancora la numero uno, il campione da battere. Per questo motivo cerca di non far mancare nulla alla sua ultima creatura: la copertina "shock-art", la triste tarantella di leaks, anticipazioni e drammi esistenziali legati alla data di pubblicazione, il tour promozionale faraonico e le ospitate nelle TV di mezzo mondo (chiedete a Fabio Fazio "che effetto che fa" farsi sfanculare in diretta da una che sembra la reincarnazione di Marylin Monroe con il caratteraccio di Amy Winehouse). E il disco non è che la messa in musica di questa volontà di ristabilire le gerarchie, di dimostrare che Madonna è sempre e comunque Madonna. Per questo, i riferimenti di "Rebel Heart" non possono che essere coniugati al presente e al futuro, anche perché la concorrenza del 1987 è già stata annientata da tempo.
In questa abbondanza trovano spazio tre anime di Madonna (dai che la battuta è facile facile...): la prima è quella degli anni '80, che spinge l'acceleratore sui suoni, sulla modernità e sull'innovazione. La modernità, nel 2015, è il gioco pirotecnico di "Illuminati", che (fatta salva la viva ironia del testo), è un mash-up di suoni e voci campionate così caotiche da annullare qualunque intuizione melodica. L'impressione è che in questo campo Madonna si sia ridotta a rincorrere le varie Lady Gaga o Britney Spears, cercando di emularne la sfacciataggine e le innovazioni "tecnologiche". Lo prova il fatto che la successiva "Bitch I'm Madonna" vede la partecipazione della lanciatissima Nicki Minaj e del suo solito party hip-hop adolescenziale. Il senso di affaticamento si evince anche dalla totale spersonalizzazione dell'aspetto vocale, sottomesso in via definitiva agli arrangiamenti e alla produzione. L'effetto "straniante" finisce per porre Madonna accanto alle produzioni di fine carriera di Cher (della quale non rimaneva nulla che non fosse il nome o l' immagine), nella misura in cui il lavoro dei produttori caratterizza i brani più dell'artista titolare: il reggae di Diplo (che in mezzo al brano spara anche la sua firma "tromba da stadio") in "Unapologetic Bitch" sarebbe stato perfetto per una come Gwen Stefani, "Iconic" estremizza l'hip-hop con la partecipazione di Mike Tyson, che gioca a fare il Mohammad Alì ma dichiara di ispirarsi a Mussolini (e va beh, che il cervello di Iron Mike non fosse veloce come il suo gancio sinistro è cosa nota) ma soprattutto di un nutrito team di giovani produttori (Chance The Rapper, Symbolyc One, Dj Dahi, Blood Diamonds) che riesce anche a portare Madonna in territori inediti ("Body Shop").
La seconda è quella pacificata dei tardi anni '90, comodamente seduta sui divanetti di una discoteca trendy in attesa di una cassa in quattro. Il singolo "Living for Love" è la Madonna attualmente più riconoscibile, in quell'iconografia ideale che parte da "Holyday" e arriva fino a "Music" e "Sorry". "Living for Love" è un successo annunciato, una di quelle cose che Louise Veronica sa fare a memoria, recuperando il "tiro" di "Express Yourself" e le tentazioni gospel dell'inarrivabile "Like a Prayer". Un po' meno "classico" è il ritmo sincopato di "Hold Tight", che rimanda al periodo di "Ray of Light" e si avvale della collaborazione di tale Cherry Cherry Boom Boom, già al lavoro con Lady Gaga.
La terza è quella mistica, divina, che si ricorda di avere anche una voce discreta e di poter interpretare delle belle melodie. Rientrano in questa casistica i numeri migliori, quelli che definiremmo "nostalgici": "Devil Pray" (scritta con Avicii) e "Rebel Heart" recuperano le atmosfere country di "Don't tell Me" e "American Life", la ballad "Heartbrakes City" sembra fare il verso a Rihanna (mentre in "Inside Out" si sfiora il plagio di "Diamonds"), ma i brani che probabilmente rimarranno di "Rebel Heart" sono sostanzialmente due: la prima e l'elettro-acustica "Joan of Arc", puro distillato di Madonna rafforzato da un fantastico sentore anni '80. La seconda è la già nota "Ghosttown", perfetto punto di incontro fra un passato fatto di pop e melodie (Heart) e un futuro fatto di autotune e cura del suono (Rebel).
Una volta riconosciuti i riempitivi e gli inevitabili pleonasmi, ognuno potrà trovare una canzone da salvare nella playlist del 2015, tirare le somme e fare il proprio bilancio. Senza dimenticarsi che non è più il 1987 per nessuno.
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