Adriano Celentano
I Miei Americani...
Sotto il sole spietato d'Agosto, ho recentemente fatto un viaggio in auto di qualche centinaio di chilometri insieme ad una coppia di amici. Non me ne vogliano questi ultimi, persone meravigliose oltre ogni dubbio, ma è stato un incubo. Il fatto è che loro hanno un bimbo piccolo, e questo ha trasformato il viaggio in una maratona di canzoni per bambini. Tre ore filate di Zecchino D'oro-Karaoke, e forse anche peggio. Perchè le canzoni per bambini di oggi fanno schifo: oltre al best-seller Il coccodrillo come fa, che per i giovani genitori ha ormai sostituito l'inno nazionale ma a me fa venire in mente solo quella vacca della Clerici, per il resto ricordo (e difficilmente dimenticherò) un mi sono iscritto a danza/l'ho fatto per la panza ed altre oscenità assortite tipo scimmie che si grattano e balletti a base di culetto giù, culetto sù. Ma chi le scrive 'ste canzoncine, gli Squallor? E non tirate fuori la storia che non posso capire perchè non ho figli (e queste esperienze di certo non stimolano il mio istinto paterno) perchè, pur non essendo genitore, sono stato bambino e figlio, e mio padre le canzoncine per bambini in auto non le ha mai ascoltate.
La prima macchina con l'autoradio fu una 500 blu, la prima di una lunga serie. Mio padre le comprava con lo sconto da dipendente e poi le rivendeva allo stesso prezzo sei mesi dopo. Cambiavamo auto due volte l'anno, neanche fossimo gli Agnelli. Era la metà degli anni ottanta, e le possibilità sembravano infinite: tutti ricchi e felici come gli americani. In TV gli appuntamenti fissi nazionali erano due: Dallas e Drive In. Il sogno americano sbarcato con gli Alleati nel '43 era diventato realtà con il boom economico e adesso era alla portata di tutti. Ad un certo punto il giochetto della compravendità delle 500 finì, anche perchè compravamo auto per conto di amici e parenti così spesso che mia madre nel 1986 risultava intestataria di due 500, una Ritmo e addirittura una 128 Coupè. Un po' troppo, considerando che non aveva mai preso la patente di guida. Ci ritrovammo a far invecchiare l'ultima 500 blu della serie, che col tempo aveva cominciato a perdere i pezzi. Alla fine aveva un buco di fronte al sedile del passeggero che ti consentiva di vedere l'asfalto correre sotto i piedi, una specie di oblò con vista sulla strada. Però era bellissima, mio padre riusciva a farci stare dentro tutta la famiglia più dieci buste della spesa, e quando pioveva portava me e mio fratello sullo stradone a fare il motoscafo, ovvero quello che adesso si chiamerebbe aquaplaning doloso. Qualunque cosa facessimo, la spesa al supermercato o lo sci nautico sulle pozzanghere, l'autoradio era di proprietà esclusiva di mio padre. Indiscutibilmente.
Mi consentiva di portarlo quando uscivamo dall'auto, e io ero fiero di tenere quel mattone d'acciaio sotto braccio, perchè non c'era niente che amassi di più che andare in giro sulla 500, con la musica dell'autoradio che usciva dal tettuccio apribile e il sacchetto dei pistacchi appoggiato sulla leva del freno a mano. E nelle sere d'Agosto, quando la fabbrica e la scuola chiudevano, a volte quella 500 ci portava tutti in città, alle giostre che si chiamavano Luna Park, come quelle degli americani.
Per quasi tutta la mia infanzia nell'autoradio di mio padre potevi trovare solo tre cassette: La Voce del Padrone di Franco Battiato, Artide/Antartide di Renato Zero (omaggio di una cugina sorcina) e I miei Americani di Adriano Celentano.
Nel 1984 Adriano Celentano vive un momento di celebrità eccezionale, costruita in parti quasi uguali tra musica, cinema e televisione. I miei Americani (e il successivo I miei Americani 2) sono l'ennesimo omaggio di Celentano alla musica d'oltreoceano, che lui aveva ufficialmente importato ai tempi del rock'roll e trasformato in musica popolare atterrando come un alieno sul palco del Festival di Sanremo, tra lo sconcerto del pubblico pagante al quale aveva (oddio!) voltato le spalle cantando 24.000 baci. I miei Americani precede la consacrazione di Adriano a icona nazionale, qualcosa a metà tra un santone, un vecchio saggio e un cialtrone da bar, specchio perfetto dell'Italia di quegli anni e non solo, che sarà poi travolto dal suo stesso personaggio e lo porterà a deliri di onnipotenza come Joan Lui e agli interminabili monologhi da Re degli Ignoranti che ancora oggi ogni tanto ottengono dagli italiani un' attenzione che il Presidente della Repubblica e il Papa possono solo sognare. I brani, tutti pescati da autori di enorme rilievo (Elvis Presley, Beatles...), sono riprodotti con una semplicità sfacciata e disarmante. C'è il rock'n roll, c'è la canzone d'autore e la ballata, c'è l'America nei suoi prodotti più limpidi, ma Celentano si appropria di ogni pezzo con l'autorevolezza di chi sa di avere il pubblico sempre e comunque dalla sua parte, anche quando fa lo scemo imitando Jerry Lewis o ammorba gli ascoltatori con noiosissimi monologhi sulla caccia e sull'amore.
Il pezzo di punta, scelto come singolo, fu Susanna, uno dei brani più famosi della carriera di Celentano, spinto dalle esibizioni televisive di Fantastico 8 in cui Heater Parisi (che era tipo la donna più bella del mondo o giù di lì) improvvisava maliziose coreografie con una stecca da biliardo, prontamente smontate dall'ironia di Celentano. L'altro brano che rimarrà nella memoria per sempre è Michelledei Beatles, che per il Re degli Ignoranti cantano in iglese e quindi sono americani (che avesse ragione il Massimo Troisi di Non ci resta che piangere?), e che trasforma la protagonista in una francese che non vuole imparare l'inglese, suscitando i dubbi dell'Adriano innamorato (Io ti amo / ma tu forse / sei un po' troppo / francese per me). D'altra parte la stessa Susanna non aveva nulla di americano, ma era stata scritta qualche anno prima da un oscuro gruppo olandese.
A volte Celentano va a memoria facendo quello che sa fare meglio, ovvero il rock'n roll maccheronico: Maledetta Televisione associa un tema caro al Celentano predicatore (che però la T.V. l'ha frequentata parecchio) al rock di That's all right, mama di Elvis Presley, mentre la Happy Baby di Bill Haley & the Comets diventa semplicemente Cara Baby, un omaggio divertito alla passione per il rock'n roll (Se tu non vuoi capire cara baby/ Stupida sei / E se continuerai con questa noia io avrò uno shock) chiusa con una simpatica Celentanata (E oramai l'ho cantata così...). La seconda Celentanata doc si trova alla fine di Sono un fallito (cover di Busted, famosa nelle versioni di Johnny Cash e Ray Charles), quando Adriano esclama L'ho cantata quasi come Gino eh! e poi sfuma un frammento dello stesso brano inciso qualche anno prima da Gino Santercole. Più spesso, e con il minimo sforzo (in You are my destiny non prova neanche a tradurre il titolo per non stravolgere la metrica di Paul Anka), l'Adriano nazionale riesce a costruire un best-seller annunciato e contemporanemente a non fare brutta figura di fronte a colleghi illustri come Barry McGuire, che vede la sua Eve of Destruction trasformata in un amaro (e banalotto) resoconto sui mali del mondo; Lee Hazlewood (These Boots Are Made for Walking diventa Bisogna far qualcosa) e i Platters (ma anche Nat King Cole e tanti altri), omaggiati con una bella versione di Smoke gets in your eyes a cui Mogol aveva già regalato un bel testo nel 1969, facendola cantare a Giusy Romeo (che diventerà Giuni Russo): No / io non piango sai / è soltato che / fumi e il fumo va / dentro agli occhi miei /fino in fondo al cuor
Trent'anni dopo, una 500 in famiglia c'è ancora. Gialla con il tettuccio apribile. E' in giardino da un bel pezzo, coperta da una vecchia tenda da campeggio. Ogni tanto mio padre la guarda e sospira: Prima o poi la metto a posto, devo solo trovare il tempo. Se non lo troverà lui, lo farò io, non importa quanto mi costerà. Ma quando ripartirà, so che ci porterà ancora una volta al Luna Park, tutti insieme, con il tettuccio aperto come una spider, i pistacchi sulla leva del cambio al posto dei pop-corn e Adriano Celentano nell'autoradio al posto di Elvis Presley. Perchè non avevamo bisogno di un manager con il golfino nero per sentirci un po' Americani.
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