Baustelle
Sussidiario Illustrato Della Giovinezza
Premessa doverosa: trovo difficile scrivere di questo disco. Prima di sentirci dentro Gainsbourg e i Pulp, ci ho visto me stesso, all'epoca diciottenne. E approcciarsi freddamente al Sussidiario, scevro da quel ricordo, mi risulta fondamentalmente difficile. Se vi sembrano castronerie, quelle di cui scriverò, passate tranquillamente agli insulti.
Dunque.
Una tastierina stupida da videogiochino vintage, profondamente eighties (gli 80s scemi della disco e delle acconciature sconce) apre uno dei dischi italiani più belli dellultimo decennio. Ti ritrovi a maledire i critici incensatori che ti hanno consigliato questo esordio dal brutto incipit, ma è questione di secondi. È il primo anno di un nuovo millennio, anche ad Abbadia di Montepulciano, nel senese, dove il tempo sembra essersi fermato al grammofono a manovella e al calore di una puntina su morbidi solchi.
Il Sussidiario parte da una voce profonda, dilatata, è quella - che impareremo ad amare - di Francesco Bianconi, un moderno chansonnier d'altri tempi... Era (me lo ricordo bene) la colonia estiva... sono le prime parole del libro che ci apprestiamo a leggere, o meglio del film che ci apprestiamo a seguire, tanto cinematografica e immaginifica è l'esperienza finale portata da quest'album. L'esterno giorno è luminoso, una pellicola appena sgranata, il periodo è quello de Le Vacanze Dell'Ottantatre, della corriera che parte, delle strusciate e delle erezioni, del voyeurismo adolescenziale, degli sguardi innocentemente torbidi e del primo reggiseno slacciato... la colonna sonora è un tappeto elettronico caldo e una sezione ritmica quasi invadente a tenere alta la tensione, fino all'azzeccatissimo ritornello liberatorio da sole in faccia e iodio nelle narici... coretti, radioline accese, sabbia... un disco rotto chiude malinconicamente un'età che non tornerà.
Zoom su quella ragazzina, una chitarra elettrica finalmente, ed ecco Martina e la sua storia di incontri per solitudine, mascara denso per nudità, i suoi fragili travagliati amori, le sue delusioni, l'ingenuità di una carne concessa troppo presto, miele infinito per anima, la sete di vendetta... Sadik è una culla pericolosa su cui adagiarsi nudi, erotica, torbida, convulsa dietro una quiete apparente... quello che non si vede si sente, una coda d'archi che si rincorrono conduce a un finale in crescendo, dietro quella finestra ci sono ombre di sesso, c'è un orgasmo nel silenzio, c'è una consapevolezza amara... adesso che farai?, e forse una porta che sbatte.
Una bambina singhiozzante per il suo teddy-boy è la fotografia amara di Noi Bambine Non Abbiamo Scelta, la pubertà sconcia intrisa di lacrime d'amore, la scoperta di un sesso frastornante svenduto al bastardo sbagliato, Maracas soffici, arpeggi, il la-la-la della Bastreghi nel ruolo della ragazzina senza scelta, il finale con le biciclette e i campanelli, e il vociare dell'uscita da scuola. Tutto comincia sempre da lì.
Il brano numero cinque è una gemma di nome Gomma. È un rincorrersi alternato, un botta e risposta, scandito da battimani puramente pop style, un brano liberatorio quasi, nell'ascolto, che racconta invece la noia della provincia, e degli amori di provincia... ancora sesso, allusioni, poco pudore e molta ostentazione. È il primo vero incontro con la voce straordinaria di Rachele Bastreghi, così fuori fase, ipnotica, elettrica, rispetto alla circolarità seducente di Bianconi, per un risultato stupefacente al di là dei doppi sensi.
Fosse stato un vinile, come avrebbe profondamente desiderato essere, il Sussidiario avrebbe terminato qui il suo lato A, la sua puntina si sarebbe sollevata, e con un fremito d'impazienza ci saremmo apprestati a capovolgere l'album sul piatto. Nel frattempo, mentre quasi parte La Canzone Del Parco, arrestiamo un momento l'ascolto, e prolunghiamo il piacere dell'attesa soffermandoci sul retrocopertina di questo strano atipico disco: c'è una scrivania, oggetti alla rinfusa. Non a caso, un giradischi, vinili vari da Ombretta Colli al Vol. 1 di De André alla colonna sonora di A Man And a Woman... il cd Whiskey di Jay Jay Johanson, e poi una vecchia reflex, diapositive, fumetti noir dei primi anni settanta, e libri, Le Particelle Elementari di Houellebecq, La Vita Agra di Luciano Bianciardi... ti ritrovi a chiederti se non hai già sentito quello che stai ascoltando, come hai già visto quelli oggetti sulla scrivania... forse hai già visto davvero proprio quella scrivania, è quella della tua camera, o forse della camera di tuo padre. Cominci a capire che dietro questo concept c'è un omaggio, il Sussidiario è un volontario inno al ricordo, un film visto molti anni fa che avevamo dimenticato, il sapore del primo bacio, il dolore della prima delusione... il Sussidiario entra nelle debolezze della nostalgia, vi si insinua, vi si accoccola caldo... diventa me, diventa voi, diventa i vostri figli, nell'età più sconcertante, selvaggia, viva di sempre...
Da pelle d'oca, La Canzone Del Parco vive nel canto squarcia anima di Rachele, negli strumenti che si sovrappongono uno ad uno in crescendo fino all'esplosione di archi nel finale, una litania straziante, una canzone epica sull'amore, e sulla rassegnazione di chi è incapace di provarne (l'albero che attraverso la voce della Bastreghi fa sapere a che cosa servono i miei rami stupidi? Posso solo esistere in eterno vivere senza avere gli attimi degli amanti giovani).
Tastiere e ritmi vagamente disco anni 80, e un ritornello sguaiato quanto basta, disegnano lo scenario totalmente fuori posto ricamando le liriche dolorose de La Canzone Del Riformatorio (la mia preferita, n.d.a.), in cui il protagonista piange e chiede scusa, per essersi lasciato risucchiare dall'eroina e aver perso per sempre la sua Virginia, lontano ricordo di una giovinezza sbagliata. Paradossalmente il pezzo più gioioso nei suoni e più straziante nei contenuti, da cantare a squarciagola con un mattone sul cuore.
Cinecittà è il dialogo a due voci e pianoforte tra la produttrice cinematografica e il giovane attore che va incontro a un provino sexy e quanto mai intrigante, un esperimento divertente che cita la bossanova, Morricone, La Vita Agra, Pietrangeli, La Dolce Vita... Il risultato è interessante e crea diciamo così il pathos giusto per la successiva Io E Te Nell'Appartamento, canzone di sesso e libertà fotografati in una camera qualsiasi, in cui il tempo caraibico delle strofe si scioglie in un ritornello gravido di atmosfera e dissacrante nel testo (ci prenderemo come i cani... tu non mi ricorderai negli anni mai).
La finale Il Musichiere 999 è dichiarazione di intenti, una sequela di desideri e citazioni (Voglio essere Gainsbourg... voglio il ciuffo di De André... build the modern chansonnier!) in cui sembra che Bianconi tiri le somme e affermi candidamente la sua appartenenza.
Ho letto e sentito milioni di citazioni e riferimenti per inquadrare in poche parole la musica del Sussidiario. Dai Depeche Mode ai Pizzicato Five, da Björk a Claudio Villa, oltre ai soliti Gainsbourg e Pulp... non sono così cieco da affermare che i Baustelle somiglino solo a loro stessi, è così evidente che proprio il loro sia un omaggio sincero e trasparente a un mondo che hanno amato e forse rimpiangono.
La forza di questo album sta proprio in questo: apre scenari. Su vite, nostre o altrui, che in qualche modo ci sono appartenute e che comunque ci hanno segnato. E questo mi pare tutt'altro che poco.
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