R Recensione

7/10

Colore Perfetto

Il Debutto

Inutile girarci intorno: agli italiani il collegamento tra la lingua di Dante e il rock non piace. Poco da fare. Al di là del fatto che in Italia la cultura musicale rock sia ancora per molti versi arrancante rispetto allo strapotere della decrepita musica leggera e del corrispondente “bel canto”. Troppo forti l’ignoranza, il pregiudizio e il disinteresse per il rock italiano. Forse per il tipico problema italiano “del piangersi addosso” che impedisce di prendere coscienza delle proprie potenzialità. Forse…

Eppure il rock l’Italia ha sempre dimostrato di saperlo praticare in maniera efficace. Magari non da protagonista e spesso in ritardo rispetto al palco internazionale (eccezion fatta per la gloriosa scena progressive dei 70s), tuttavia riuscendo a emulare, riformulare e riproporre con ottimi risultati un tipo di sound tipicamente anglosassone. E gruppi come Marlene Kuntz, Afterhours, CCCP, Skiantos, Diaframma, Negazione, Verdena e compagnia bella stanno lì a dimostrarlo. E tralasciamo tutti coloro che di italiano hanno il sangue ma non la lingua scelta per cantare (scegliendo ovviamente l’inglese: One Dimensional Man, Three Second Kiss, Gaznevada, Uzeda, Jennifer Gentle, Giardini di Mirò, ecc.).

I Colore Perfetto sono solo l’ennesimo esempio di onesta band italiana che fa rock in italiano e che prende come riferimenti principali non i maestri anglosassoni ma le principali realtà nostrane. Niente di originale, al solito, ma un’interiorizzazione eccellente di schemi ritmici e melodici uniti ad un’efficiente rielaborazione di diverse influenze, pescate a piene mani in particolare dai ‘90s.

Gli Afterhours su tutti, da cui si recuperano le soluzioni più morbide, dalle ballate al pop, magari associandovi una uguale ammaliante lirica poetica (la graziosa Un giorno qualunque, composta in collaborazione con Moltheni), ripercorrendone gli influssi blues-rock del periodo Germi (Labbra morbide (karate)) oppure intrecciandovi la lezione dei Timoria (l’incantevole Tempi migliori).

Timoria che ritroviamo anch’essi più volte, dal tenero pop-rock a sfumature psichedeliche di L’essenza alla fusione con l’indie-pop dei Perturbazione in Sospesi. In effetti Il debutto è un disco che sembra orientarsi in primis ad un’ottima vena pop (Novecento è lì a dimostrarlo), tuttavia nonostante il volume delle chitarre sia molto moderato non mancano sonorità tipicamente alt-rock e arrangiamenti mai banali.

Da quella sera, dimostrazione della splendida voce di David Pollini, è uno squisito incontro tra i Perturbazione e dei One Dimensional Man abbastanza pacati. Come se non bastasse spolvera l’unica influenza non propriamente opportuna (i Negramaro) e ciò nonostante il risultato si mantiene soddisfacente in linea con le poche cose buone prodotte dal gruppo.

In tal senso però il brano più sorprendente del disco è senz’altro Immobile attendo, capace di far risuonare impeccabilmente la lezione dei Massimo Volume, tra suoni wave e cantato in spoken-word. Un influsso artistico notevole che diventa però aperto citazionismo ai limiti del plagio nella malinconica Il muro, brano spezzato a metà da una seconda parte più tipicamente Afterhours.

Si sarà capito che Il debutto è di fatto uno squisito collage più che un disco propriamente personale del trio perugino che l’ha realizzato. Tuttavia la padronanza degli strumenti e la varietà compositiva dimostrate dal gruppo fanno ben sperare per un prosieguo di carriera da tenere sicuramente in attenzione. Magari sperando in un pizzico di personalità e originalità in più…

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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andy petretti (ha votato 8 questo disco) alle 23:52 del 11 febbraio 2009 ha scritto:

colore imperfetto ma la strada è giusta

considerando la media degli ultimi sforzi in campo pop rock italiano, questo album sta un gradino più in alto e guarda decisamente su. Non si può non lodare il lavoro di Moltheni in fase di realizzazione (un giorno qualunque è il brano migliore) e di produzione, sperando che un giorno si stanchi di infilare organi Hammond come il prezzemolo. Si avvertono tutte le influenze possibili e immaginabili, questo non è un album che inventa chissa che, ma è compatto, armonico e nel suo insieme suona molto, ma molto bene. Andate a vederli suonare (sono in giro con Moltheni) e godetevi la ricetta di un piatto semplice e cucinato alla perfezione con tutti gli ingredienti al loro posto. Bravi!