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R Recensione

9/10

Lucio Dalla

Com’è Profondo Il Mare

Non sarà forse un disco a cambiare il mondo / e di certo non sarà il mio / se non l’ha cambiato Dalla con “Com’è profondo…”

(Dargen D’Amico)

Avevo undici anni quando mia madre, donna strana, una stilista che non sapeva mettere un bottone, mi portò in un istituto psicotecnico di Bologna per un test sulle mie attitudini. Risultò che ero un mezzo deficiente

(Lucio Dalla)

Com’è Profondo Il Mare è un affresco onirico sugli anni settanta, colti proprio nell’anno più fatidico, quello più tragico, vitale, presago, goliardico, profondo, appunto, come l’inconscio individuale e collettivo da cui la musica attinge la sua forza sovrannaturale. È Bologna e il suo socialismo tascabile, partigiano e dal volto umano, è Radio Alice, gli Indiani Metropolitani, le aule del Dams occupate e le barricate lungo via Zamboni Anteo, linciato dalla folla, cinquant’anni prima, per aver attentato alla vita di Mussolini in piazza Nettuno, è il povero Francesco Lo Russo (“ucciso quindici volte in fondo a un viale” come il fantasmagorico Andrea di “Quale Allegria”), è la vetrata di un armeria svaligiata e fatta a pezzi a colpi di sanpietrini, è il tendone di un circo immaginario fatto di portici sotto i quali trovano rifugio, i pazzi, i poeti, gli illusi, i diseredati, gli umiliati e gli offesi, in attesa che “l’anno che verrà”, li spinga fuori dalla notte, verso una redenzione improbabile. Arriveranno invece: il governo di solidarietà nazionale, il delitto Moro, l’infame 2 agosto e gli anni ottanta.

Per Dalla, già polistrumentista jazz di vaglia, clown del beat italiano che fa incetta di pomodori in faccia, freak del neo-pop sanremese dei primi settanta con “Bambino Gesù” (alias “4 Marzo 1943”) e “Piazza Grande”, infine musicante e interprete brechtiano/futurista sotto l’egida del poeta Roberto Roversi, questo disco è uno spartiacque e un punto di non ritorno. Segnerà la maturità espressiva, la piena indipendenza compositiva (per la prima volta è autore a tutto tondo, in quanto, da allora, si scriverà da solo anche i testi) e la consacrazione commerciale che gli era sfuggita fino a quel momento e che, a dispetto di tutte le critiche e le considerazioni di segno opposto, s’ingrosserà inarrestabile come uno tsunami catapultandolo fino ai giorni nostri. È l’approdo definitivo al pop italiano - ma quello di classe, fatto di lacerti di controcultura psichedelica, melodismo arioso, vellutato e conturbante, rimestato in gorghi di musica nera, dallo scat, al soul, allo stomp -  di cui Dalla rappresenta, a livello squisitamente musicale, il nul plus ultra, accanto a Battiato e Battisti.

L’incipit, splendido take degli “anni di piombo”, dice già tutto: “siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte per paura degli automobilisti, dei linotipisti, siamo i gatti neri, siamo i pessimisti, siamo i cattivi pensieri e non abbiamo da mangiare…”. Questo è il Dalla scrittore: libero, associativo, discreto pedinatore di storie di ordinaria surrealità, come il Zavattini di “Miracolo A Milano” o del “Giudizio Universale”, idealista in un flusso di idee, umanista e regressivo laddove Roversi era tecnologico e progressista.

Fra perturbanti ricostruzioni della dialettica dell’illuminismo e della lotta di classe (“poi da solo l’urlo diventò un tamburo / e il povero come un lampo nel cielo, sicuro, cominciò una guerra / per conquistare quello scherzo di terra / che il suo grande cuore doveva coltivare […] / ma la terra gli fu portata via compresa quella rimasta addosso / fu scaraventato in un palazzo o in un fosso / non ricordo bene / poi una storia di catene, bastonate / e chirurgia sperimentale”), allegorie socratiche (“è chiaro che il pensiero dà fastidio / anche se chi pensa è muto come un pesce / anzi è un pesce, e come pesce è difficile da bloccare”) e incubi lucidi di fine guerra fredda o da strategia della tensione (“certo chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche / il pensiero è come l’oceano non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare / così stanno bruciando il mare / così stanno uccidendo il mare / così stanno umiliando il mare / così stanno piegando il mare”). E poi c’è la musica, che in quella Lucio ha sempre avuto pochi rivali: basso liquido e sordo, chitarre cadenzate in un abbandono amniotico, quel fischio così italico e così ipnotico che sembra provenire dalle scaturigini dei ricordi d’infanzia o, addirittura, da memorie familiari pre-natali, cortine di sintetizzatori e cori notturni e rurali. 

Poi c’è il freak folk fiabesco e psichedelico di “Treno A Vela”, fra picking vertiginosi, strumenti che suonano come giocattoli a molla, break di piano, inserti voraci di Moog, ritmica che entra ed esce (la squadra di musicisti che lo accompagna è praticamente il meglio della scuderia felsinea: da Jimmy Villotti alla chitarra, a Marco Nanni al basso, a Fabio Liberatori alle tastiere a Giovanni Pezzoli, che poi disgraziatamente decideranno di mettersi in proprio e formare gli Stadio), la storia tenera e rocambolesca di padre e figlio vagabondi che sembra un incrocio di “Ladri di Biciclette” e “Il Monello” di Chaplin. Lo shuffle di “Il Cucciolo Alfredo”, ancora una fiaba antropomorfa, il picaresco ondivagare di un emarginato lungo i sentieri più bui della cronaca nera (“nemmeno Natale è una sera normale / con gli occhi per terra, la gente prepara guerra”) circondato dai “nuovi mostri” dell’italianità politica e istituzionale (“un grande striscione con uno scudo e una croce / e una stella cometa / fa reclame a una dieta / pistola alla mano la città si prepara / a sommare il denaro a una giornata più amara”). La rivista musicale, iper-accelerata come una comica di Ridolini, di “Corso Buenos Aires”, dove l’avvistamento in stazione di un povero cristo, in vacanza a Milano da Barletta, sprigiona la cattiva coscienza della folla (un Dalla trasformista e sopra le righe dà la voce a tutti i personaggi) che, nel turbinio dei pregiudizi, viene poi falciata dal boomerang dell’isteria collettiva da essa stessa scagliato (“arriva la volante con un furore sacro / confusa da tutta quella gente, non frena e fa un massacro”).

Disperato Erotico Stomp” è, nel bene e nel male, l’altro classico del disco: apologo d’ineguagliato gusto demenziale (negli anni, in mille proveranno ad imitarne quella vena sinceramente volgare e liberatoria, ma non ci sarà verso) in linea con l’avanguardia più clownesca e “situazionista” della “classe 77” (parafrasando De Gregori). Più lieta solo in apparenza, tragicomica confessione di malessere, solitudine ed autoerotismo tradotta in un immaginario che fa il verso ai fumetti e alle riviste pornografiche che in quegli anni si cominciavano ad occhieggiare negli angoli più riposti delle edicole cittadine. Un giro stomp/reggae (per elettrica, acustica, piano e fiati in response) che è un miracolo di seduzione psicomotoria e battute memorabili come “non so se hai presente una puttana / ottimista e di sinistra” o “gli ho detto che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino / mi guarda con la faccia un po’ stravolta e mi dice sono di Berlino” fino alla catarsi onanistica “ho fatto le mie scale tre alla volta, mi sono steso sul divano / ho chiuso un poco gli occhi e con dolcezza, è partita la mia mano”. Ma il miracolo si palesa ancora, ed è la terza volta: “Quale Allegria” è la pop-song perfetta (superbo antefatto di quella che sarà poi, negli anni ottanta, la scuola pop bolognese), misto di speranza e disillusione, poesia intimista e crepuscolare, auto confessione pubblica e spietata, serica, elegante, struggente nella sua partenza acustica con interferenze elettroniche e poi nel crescendo orchestrale diretto e arrangiato da Ruggero Cini.

Concludono in bellezza: la torch-song pianistica concentrata nella prima parte e la lunga coda strumentale nella seconda di “...E Non Andar Più Via”, cronaca marziana di un addio romano, e il pop-blues sintetico, psichedelico, liquido, sdruccioloso nei suoi cori da “barber shop quartet” di “Barcarola”.

Puro genio italico. Niente male per uno che troppo spesso è stato considerato “solo, solo come un (mezzo) deficiente”.

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Voto degli utenti: 8,4/10 in media su 28 voti.

C Commenti

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Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 13:00 del 13 febbraio 2009 ha scritto:

Una delle migliori opere di Dalla, nonchè uno dei dischi cantautoriali, più validi del Nostro Paese. Bravissimo Simone, ottima scelta

simone coacci, autore, alle 15:02 del 13 febbraio 2009 ha scritto:

Ne penso tutto il bene possibile, Doc. L'omonimo successivo è anche più eclettico e variegato di "Com'è profondo". Anche se io amo perdutamente questo. E ringrazio mio padre per avermeli fatti ascoltare fin dalla più tenere età. Anche se solo da qualche anno intuisco la reale portata del genio di quest'uomo. Restano comunque i miei preferiti insieme alla trilogia con Roversi. Poi negli ultimi vent'anni, s'è dato un po' allo svacco o "alla balotta", come direbbero a Bologna, ma un pezzo come "Caruso", pur se corrotto e inflazionato dai media, resta oro colato.

PierPaolo (ha votato 9 questo disco) alle 15:08 del 13 febbraio 2009 ha scritto:

Per chi c'era, in quegli anni fantastici (che la pseudo cultura imperante continua ad appellare come anni bui, di piombo, come se il terrorismo oggi fosse un problema superato...), la triade di Dalla aperta da quest'album mantiene, insieme ad altre cose come ad esempio gli Zingari di Lolli, un incredibile potere evocativo. L'antipatico, avido, furbetto, imparruccato, persino maleodorante Lucio Dalla che verrà, è qui un magico affabulatore di strofe poetiche condite da grande musica. Sempre lirica la tua penna, ottimo Simone.

loson (ha votato 8 questo disco) alle 15:23 del 13 febbraio 2009 ha scritto:

Anni fa ho incontrato Dalla a Bologna mentre era seduto al tavolo di un bar, naturalmente circondato da 4-5 amici musicisti (credo). Mi sono avvicinato e gli ho stretto la mano, dicendogli: "Sei un grande, ma da vent'anni incidi porcherie". Lui mi risponde: "E tu mi sembri un bravo ragazzo, ma devi comunque andartene affanculo". Ci siamo messi a ridere entrambi, anche se il suo parrucchino in realtà scalpitava per azzannarmi al collo. Mitico nanetto. Tornando a noi: meraviglioso affresco di un'epoca, Simo. Il disco ottimo e a suo modo importantissimo. La citazione di Dargen D'Amico forse è superflua, ma probabilmente lo penso solo io perchè il tipo mi sta sulle palle. Per il resto, respect bro!

Dr.Paul alle 15:31 del 13 febbraio 2009 ha scritto:

"Anche se solo da qualche anno intuisco la reale portata del genio"

be si, anche io da bimbo volevo del sano rock and roll da gggiovani e Dalla nn mi sconfinferava piu di tanto, poi un bel giorno alla radio in macchina ho beccato Stella di mare (traccia strepitosa parere mio).....ho avuto una folgorazione, e ho pensato azz in casa devo avere l'LP....e da lì è ripartito tutto (ho comprato i 3 cd in questione), mi piace anche come catturavano il suono, erano album registrati benissimo, forse il cd un po meno...

simone coacci, autore, alle 15:34 del 13 febbraio 2009 ha scritto:

Anch'io l'ho incontrato in un bar. Probabilmente lo stesso, che mi dicono fosse un habituè. Poco prima della chiusura, c'era un fila assurda, a lui, naturalmente, lo servivano in un lato a parte del bancone (niente fila, solo lui e uno dei suoi borsalini stravaganti). Un mio amico, ubriaco lercio, gli fa bell'e buono "Uè Lucio!" come se fosse suo fratello. Io temo il peggio. Invece, no. Forse era mezzo sbronzo pure lui, aveva gli occhietti più piccoli e cisposi del solito, comunque attacchiamo a parlare (brevemente che io mi sento un coglione nella parte del "fun" adorante, odio me stesso e perdo tutta la mia verve) e alla fine fa al barista: "Porta due o tre birre per 'sti ragassuoli, fa il favore!". Così saltiamo la fila.

Grande Lucio.

lev (ha votato 8 questo disco) alle 22:37 del 15 marzo 2009 ha scritto:

non avrei mai pensato di mettermi ad ascoltare dalla, bravo simone.

icominto (ha votato 8 questo disco) alle 14:34 del 14 gennaio 2010 ha scritto:

bellissimo!

forse la sua opera piu' matura! A parte il grande capolavoro che e' il live a New York "DallAmeriCaruso"...

dalvans (ha votato 8 questo disco) alle 15:32 del 23 settembre 2011 ha scritto:

Buono

Bel disco

paolo gazzola (ha votato 9 questo disco) alle 13:02 del primo marzo 2012 ha scritto:

Ciao Lucio

Leggo ora che se n'è andato... Che tristezza. Un inchino pieno di riconoscenza.

salvatore (ha votato 9 questo disco) alle 13:21 del primo marzo 2012 ha scritto:

RE: Ciao Lucio

Sì, tanto dispiacere...

E questo è un disco magnifico, uno dei vertici del cantautorato italiano.

Totalblamblam (ha votato 8 questo disco) alle 13:51 del primo marzo 2012 ha scritto:

notizia che davvero mi ha sconvolto, dalla del 79 è il disco che avevo in heavy rotation a natale...inutile dire che è stato un gigante della canzone italiana: i dischi sperimentali con roversi poi il salto pop fino all'ultimo suo lavoro significativo il Q disc. tutti da conoscere. r.i.p

simone coacci, autore, alle 14:32 del primo marzo 2012 ha scritto:

facendo finta che la gara sia/ arrivare in salute al gran finale

Questa recensione è il mio umile omaggio. Non saprei dirlo con altre parola. Ciao Lucio.

ozzy(d) alle 14:37 del primo marzo 2012 ha scritto:

ci pensa Carone a traghettarlo a destinazione ghghgh

Dr.Paul alle 14:40 del primo marzo 2012 ha scritto:

dalla del 79 è il disco che avevo in heavy rotation

"Com è Profondo Il Mare" e "Dalla" del 1980 sono disconi!! il mio preferito è il "Lucio Dalla" del 1979, lo conosco a memoria, il vinile ho dovuto buttarlo per quanto era ridotto male!!

io che non ho mai sopportato i cantautori italiani dei 70....ho sempre avuto una predilezione per Dalla. autore ma anche arrangiatore e musicista straordinario (derivazione jazz). RIP

finalmente ora si decideranno a rimasterizzare i suoi dischi...che dici stoke?

Totalblamblam (ha votato 8 questo disco) alle 14:54 del primo marzo 2012 ha scritto:

RE: dalla del 79 è il disco che avevo in heavy rotation

dipende dal remastering dr paul molti sono solo pompati e rovinano tutto.io mi tengo il vinile originale rca blue label pesante sarà 140 grammi. quel disco è speciale( come questo che pure ho in condizioni perfette ai tempi si riversava tutto nel cassette per non rovinarli) ha bisogno del suono caldo vinilico anche se ho preso dalla del 79 su ciddi da amazon.it per riversarlo sullipoo...pensa ieri accendo per le bbc news e di botto morto david jones mi è venuto un colpo ...era quello dei monkees ...chissà chi si prenderà il bel klinger della sua collezione ai tempi strapagato da lucio per la modica cifra di un miliardo

NathanAdler77 (ha votato 9 questo disco) alle 15:16 del primo marzo 2012 ha scritto:

Quale allegria, se ti ho cercato per una vita senza trovarti, senza nemmeno avere la soddisfazione di averti, per vederti andare via...

Che brutta notizia...Il periodo Roversi e la trilogia 1977-'80 negli annali, poi quasi solo routine da classifica ma quei dischi, quell'epopea naif di automobili, lune e ballerini hanno marchiato a fuoco il pop italiano fine anni Settanta. Ciao Lucio.

tramblogy alle 23:52 del primo marzo 2012 ha scritto:

ero una macchina negra ma adesso mi chiamano Zebra da quando mi hanno messo le braccia di un bianco di nome John vuoi andare a Washington ma cosa vai a fare laggiù è solo un sasso, non si vede un casso

ROX alle 14:48 del 2 marzo 2012 ha scritto:

ciao Lucio!

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 10:46 del 30 agosto 2013 ha scritto:

Un disco intenso e avvincente, fra i migliori nella discografia di Lucio II. Preferisco forse di un pelo l'omonimo (quello con "L'anno che verrà" o "Anna e Marco"), ma si tratta di quisquiglie. Recensione da urlo.

zagor (ha votato 8,5 questo disco) alle 14:04 del 30 agosto 2013 ha scritto:

bello bello dai, i primi sei pezzi ascoltati di fila sono sempre un piacere " e poi c'è gente che viene dal veneto per vedere il cantante patrizio e il suo porno comizio". rece strepitosa.

dissonante (ha votato 9 questo disco) alle 8:49 del 13 ottobre 2013 ha scritto:

Un attacco che vale da solo una carriera. Non tutto l'albume resta su quel livello (sarebbe impossibile). Ma grande opera.