Amore
Tarzan contro l'IBM
Alessandro Fiori, dopo averci meravigliato con i Mariposa, inaugura il suo progetto parallelo, gli Amore. Già dall’EP I tendaggi del primo semestre si poteva intuire che il mondo in cui sono ambientate queste storie è sempre quello assurdo-dadaista dei Mariposa. In particolare questo album, Tarzan conto l’IBM, non è facilmente classificabile in un genere che possa contenere l’eclettismo e il citazionismo di questo gruppo poco convenzionale; nel calderone troviamo un po’ Zappa, un po’ Dalla, un po’ di dance che sfocia in una bossanova (Al mio paese), psichedelia a volontà (Pitbull), tastierine vintage (Lapo 68) e po’ di punk tirato tra i Pixies e gli Skiantos (Susy del far west). Il tutto sotto il segno di un pop ascoltabile ma mai banale e soprattutto mai semplice: quella vena prog “mariposiana”, infatti, sembra essere in agguato dietro a ogni canzone ma non viene esplicitata del tutto, e se accade non è mai un’autocelebrazione ma piuttosto un diletto tutto dei musicisti.
I personaggi e le situazioni descritte dai testi di Fiori sembrano proprio rinunciare a qualsiasi pretesa di senso; man mano che le canzoni scorrono ci si accorge di essere dentro a uno zoo musicale nel quale strani animali ibridi vagano fuori dalle gabbie in una dimensione non-sense e, perché no, kitsch se per kitsch intendiamo l’oggetto fuori contesto e senza funzione. Già in copertina troviamo un tarzan di colore blu fluorescente su uno sfondo fucsia e sul retro un vecchio IBM (non c’è nulla di più kitsch della tecnologia obloseta). Ma in questo zoo possiamo anche trovare un cervo che salva souvenirs dalle edicole delle stazioni, teste verdi che rotolano in fondo al mare, logge massoniche, rigatori di portiere, paninoteche non a norma igenico-sanitaria, poliziotti che fanno amicizia coi manifestanti del G8 (Porco Diaz) e vetture Clio con le ganasce a metà luglio.
Sì, forse il senso manca, ma la sensazione dopo l’ascolto è di aver trattenuto molto di più da questi testi che dalle solite trite canzoni d'“amore” italiane. Il non-sense ha un certo senso, l’eclettismo ha una sua omogeneità, la superficialità dei testi riesce sempre ad essere profonda. Sembrano tutti paradossi, ma per gli Amore sono cose che convivono naturalmente. E alla fine dell'ascolto, viene da pensare che forse questo disco è proprio la descrizione più adatta e fedele del nostro paese: naturalmente assurdo.
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