R Recensione

7/10

Bee Gees

Living Eyes

Come spesso accade a chi deve fare i conti con lo stereotipo commerciale, I Bee Gees pagano il dazio di aver ripreso il cammino pop, da sempre percorso, alla fine di un’epoca che li ha visti “prestati” con immenso successo alla Disco Music, genere nel quale, ad onor del vero, non sono mai entrati a piedi pari, avendo contribuito con brani la cui struttura ritmica, tecnicamente parlando, era basata più su un “moderate beat” che un tempo di Disco Dance canonica degli anni ’70, inventato da Moroder.

Premesso ciò, nell’album in questione i Bee Gees si riappropriano del genere Pop e delle armonie acustiche che hanno caratterizzato buona parte della loro produzione.

È l’album nel quale riappare, come voce solista, anche Robin Gibb, dopo il “sacrificio” a favore dei falsetti di Barry negli album precedenti, in piena “febbre” da discoteca.

Le collaborazioni eccellenti di Don Felder (Eagles) e Jeff Porcaro (Toto), arricchiscono il prodotto in maniera rimarchevole ed evidente all’ascolto.

Il brano di apertura “Living Eyes”, che dà il titolo all’album, è indicativo del peso che si vuole dare all’intero prodotto. Il tempo è marcato, cadenzato per introdurre un’ evoluzione che sfocia in maniera convincente, con l’apporto di un arrangiamento di chitarre che riavvicinano il gruppo al genere pop-rock.

L’ influenza rock è ancor più marcata nel coraggiosissimo “ He’s a liar”, nel quale si sperimentano dissonanze armoniche degne della migliore sperimentazione Pop-Rock. Se al posto dei Bee Gees, vittime dello stereotipo di gruppo “easy listening”, fosse stato proposto dai Toto, sarebbe entrato nella storia della musica leggera.

Il resto dell’album scorre via piacevolmente tra ballate acustiche come la deliziosa e solare “ Paradise” e la bucolica “ Wildflower”, affidata al compianto Maurice; eleganti ed intime sonate come “ Nothing Could Be Good”, degna del miglior George Michael e che rappresenta uno dei brani pù raffinati mai proposti dai Bee Gees, passando per brani di impegno quali “ Soldiers”, un rock passionale, o “ Crying' Every Day” ritmato ed accorato, per finire in maniera quasi solenne,(.. e un po’ fuori tema..) , con “ Be who you are”, una piece sinfonica, pallino ricorrente di Barry Gibb.

Nel mezzo troviamo due classiche ballad romantiche, interpretate da Robin; “ Don't Fall in Love With Me” , tradizionale e corposa, anche se con un testo troppo ripetitivo e “ I Still Love You”, una nènia di cui si poteva fare a meno…(non tutte le ciambelle riescono col buco…).

In conclusione possiamo dire che l’album “Living Eyes” è molto ben confezionato e avrebbe meritato più credito, se non altro per il coraggio dimostrato dai Bee Gees nel rompere con un genere ormai agonizzante, in cui rimasero invischiati anche gruppi di spessore come gli Earth Wind&Fire, per riproporre un genere come il Pop-rock che, per anni, li ha visti protagonisti assoluti anche se spesso ingiustamente bistrattati. La storia li riabiliterà.

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