V Video

R Recensione

4/10

Blackfield

Welcome To My DNA

BlackField, per chi non lo sapesse, è il nome dato alla collaborazione di Steven Wilson (c’é bisogno di presentarlo?) e il musicista israeliano Aviv Geffen (pare sia una star in patria). Il progetto giunge al terzo capitolo, pur senza mutare sostanzialmente le sue coordinate sonore: si tratta di un pop-rock, raffinato certamente, molto melodico e orchestrale, desideroso di rifarsi agli XTC, ma alla fine piuttosto dolciastro e ben lontano dalle altre avventure di Wilson. Qui, ancora una volta è protagonista lui, tenendosi ben stretto il ruolo di lead-singer (che cede, forse malvolentieri, in un solo episodio): non aspettatevi introspezione o anche una soave psichedelia. Si tratta di pezzi “facili” (addirittura più facili delle pagine più leggere dei Porcupine Tree: vedi la vituperata Lazarus dal vituperato “Deadwing”) e fatti per catturare ad un primo ascolto, privi di qualsiasi elemento di approfondimento o di “vertigine” tecnica (se amate gli assoli di Wilson, qui non ne troverete).

Pur essendo pregevole il lavoro di orchestrazione, la sensazione che “Welcome To My DNA” sia un’opera frettolosa costruita più che altro al mixer, buona per colmare il vuoto fra l’ultimo album dei PT (“The Incident” del 2009) e il nuovo lavoro solista di Wilson (previsto per Settembre 2011) e certamente ottima per cercare nuove entrate, senza faticare troppo. Molto mestiere, poco cuore. Degne di nota giusto una Go To Hell che, nel canto che reitera il titolo, sembra strizzare l’occhio ai Radiohead (ma mantenendosi a distanze artistiche chilometriche), On The Plane (fra le melodie meno banali del disco), l’impeto introverso di Blood e le luminose aperture di Zigota (il miglior brano del lotto). Persino per la copertina è stato riciclato un artwork non utilizzato dai Marillion. Un gioco al risparmio, sotto molti punti di vista. I BlackField non hanno mai fatto risiedere la propria eccellenza nella ricerca sonora; eppure qui e lì, qualche piccola gemma l’avevano anche prodotta (da ricordare almeno l’intensa Glow sul primo album). Ma è veramente difficile comprendere come non abbiano trovato nulla di meglio di una Oxygen, che sembra quasi rifare il verso agli Asia (!) o una Rising Of The Tide, quasi irritante nel ricordare le cose peggiori di certe band americane di FM Rock Anni ’80. Da attacco di diabete.

Francamente non saprei come indorare la pillola e consigliare un disco del genere: molti dei die-hard fan di Wilson l’avranno sicuramente già preordinato. Ma credo che anche coloro che apprezzano i Porcupine Tree, amandone tanto i primi psichedelici periodi, quanto le tinte fosche di lavori come “Fear Of A Blank Planet” o “The Incident”, difficilmente possano trovare concreti motivi di godimento in questi pezzi piccoli piccoli (non solo per la durata). Che Aviv Geffen abbia un seguito così consistente da poter tornare utile, per una qualche strategia di marketing musicale, anche a Wilson? Non saprei: sicuramente avranno fatto bene i loro calcoli anche, evidentemente, in virtù delle sostanziose vendite dei precedenti due capitoli di questa esperienza congiunta. Chi ama veramente l’alternative-rock può fare tranquillamente a meno di un disco innocuo come “Welcome To My DNA”.

V Voti

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Mopy 6/10
Teo 4/10
ciccio 5/10
luca.r 4/10

C Commenti

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swansong alle 16:23 del 18 marzo 2011 ha scritto:

Ahi..Ahi..

La rece di Stefano, che spesso condivido molto e che so anche lui apprezzare SW, ed il voto appioppato mi fanno molto male...era uno dei miei lavori più attesi per questo 2011, peccato!

Naturalmente rinvio ogni giudizio all'esito dell'ascolto, per ora mi limito a notare che, tutto sommato, la canzone qui postata non modifica di molto le coordinate artistiche dei precedenti due lavori. Se questo sia un limite o un punto a favore non lo so, dico solo che entrambi i precedenti dischi mi sono piaciuti molto.

Piuttosto direi che le osservazioni fatte dal bravo Stefano in recensione (l'"uniformità" stilistica e di contenuti, l'esasperazione della ricerca melodica, la forte orchestralità degli arrangiamenti), più che punti a sfavore, li leggo come elementi caratterizzanti l'idea stessa del progetto Blackfield. Non si tratta di amare o meno - io lo amo eh - il lavoro di SW tout court (del resto non è un mistero qua dentro che io lo ritenga in assoluto uno dei migliori artisti musicali contemporanei in ambito rock) il fatto è che col progetto BF lui stesso ha inteso smarcarsi proprio dalle sonorità e dalla proposta musicale tipica dei PT, proponendo dei lavori per l'appunto "più facili" e più rilassati. L'approccio all'ascolto dovrebbe perciò essere differente a mio parere: se ti piacciono i porcospini (pre o post svolta proto-metal poco importa), non è detto che ti debbano piacere anche i BF. Non condivido l'idea per cui si debba sempre prendere come riferimento, in un side project come questo, ciò che il leader sviluppa nel gruppo principale, e non invece valutare la riuscita del progetto parallelo "a prescindere". Poi può non piacere, per carità, ma questo è un altro discorso e a te, evidentemente, non piace. Ma ho come l'idea che non ti piacessero molto nemmeno i due precedenti, o sbaglio

Mopy (ha votato 6 questo disco) alle 18:38 del 19 marzo 2011 ha scritto:

Uhm

Ho ascoltato 8 brani su 11 e credo anche io che sia il disco meno riuscito dei 3 (il primo è il mio preferito). Tuttavia condivido pienamente il discorso di Swansong. Non è per giustificare eventuali demeriti, ma i Blackfield sono davvero un'altra cosa rispetto ai Porcupine Tree, nel bene e nel male (tant'è che in certi momenti preferisco i primi ai secondi) ed entrambi i musicisti non ne fanno mistero. Anche i No-Man sono diversi dai Porcupine Tree. Quindi, sono tutti progetti che vanno valutati singolarmente, senza cercare collegamenti a tutti i costi che, come si è visto, non fanno altre che lasciare delusi i recensori e influenzare negativamente i lettori. Poi, credo che nel caso dei Blackfield sarebbe opportuno soffermarsi più su Aviv Geffen, compositore principale (specialmente di questo disco), che su Steven Wilson (che ci mette principlamente la voce e la faccia). E' un personaggio che ammiro non solo per quello che rappresenta in una realtà come Israele (in particolare negli anni'90), ma anche dal punto di vista musicale, in quanto credo che dal punto di vista melodico sia un cantautore molto dotato (pensate che "Zigota" era una canzone scritta precedentemente in ebraico). In quanto a popolarità, è l'equivalente del nostro Vasco Rossi e sottolineo "popolarità". La differenza sta anche in questo: ve lo immaginereste Vasco che rinuncia agli stadi pieni in Italia per andarsene a suonare nei club in America insieme a che so... Lou Barlow (tanto per citare un altro artista che ha 10.000 progetti)?

skyreader, autore, alle 16:28 del 20 marzo 2011 ha scritto:

I CASI SONO DUE...

Analizziamo insieme il disco sotto due punti di vista: 1) come disco a sè stante, senza condizionamenti provenienti dalla "storia" degli autori (vostra proposta, Swansong e Mopy); 2) come disco che deve trovare una collocazione nella "storia" dei musicisti che gli hanno dato vita (mia proposta). CASO 1): nonostante sia eticamente ingiusto chiedere a chi si occupa di "critica/storiografia musicale" di esulare da confronti e dal relazionare un'opera con le altre della vicenda artistica di chi l'ha prodotto, resto dell'idea che "Welcome To My DNA" resti un lavoro "innocuo", indolore, che non può (e forse neppure vuole) incidere nel tessuto della Storia del pop Internazionaale. E' proprio la ricerca di facili soluzioni, banali, sentite più efficacemente altrove, di impatto collaudato (vedi l'uso stereotipato degli archi), a renderlo, in definitiva, "disinnescato". Davvero mi è impossibile attribuire un valore artistico alto ad un disco al massimo "gradevole". La gradevolezza, la fruibilità, la scorrevolezza, l'essere smussato, non sono, a mio avviso, elementi che possono esaltarmi al punto tale da farmi dimenticare ciò che la musica (e nella fattispecie la musica "alternative-rock"), dovrebbe veicolare: arditezza, ricercatezza a livello di espressione melodica e a livello di espressione sonora. Le citazioni ci stanno tutte: la musica è certamente un gioco di rimandi. Ma non ci dovrebbe mai essere un "fine" talmente invadente da giustificare ogni mezzo utilizzato. E Wilson, in ciò, è un vero Maestro. Nel bene e nel male (come in questo caso).

CASO 2) Sì, io ho amato molto "le musiche" di Wilson. Sotto molti aspetti continuo a farlo anche oggi, ma il "limite" che il suo personaggio si porta dietro (una dose sovrumana di celebrazione del proprio mito e quindi la paraculaggine che talvolta ne deriva) è tale da non consentirmi di tacere critiche anche severe. In tal senso vi rimando alla mia recensione del DVD di "Insurgentes". Come leggere "Welcome To My DNA", se non inserendolo nello sviluppo personale e artistico di un genietto creativo come quello di Wilson? Non sono d'accordo nel considerare le sue esperienze musicali come a compartimenti stagni, se lui è il primo che decide talvolta a posteriori se una canzone entrerà a far parte del corpus solista, dei PT o dei no-man? Un progetto di un artista poliedrico deve servire a definire l'artista stesso nel suo insieme. Non riesco francamente a capire perché bisognerebbe giustificare la "semplicità" dei BlackField alla luce del carattere "nazionalpopolare" che riveste Aviv Geffen in patria. Voglio spostare l'esempio su un musicista che io considero decisamente "integro" nelle scelte coerenti che si è trovato a prendere nella propria vita e al quale spesso Wilson dichiara di ispirarsi e al quale ama confrontarsi: Robert Fripp. Per quale ragione al mondo si dovrebbe avere indulgenza nei confronti Fripp qualora questi scegliesse di allearsi con uno Biagio Antonacci (tanto per dare l'idea un altro idolo nazionalpopolare), proponendo un pop di facile abbordaggio? L'essere fan di un artista di tale tempra non dovrebbe significare fede in lui, cieca al punto di non vedere le basse motivazioni commerciali che si celerebbero dietro un tale sodalizio. Anzi penso che i fan prima che altri poco ferrati in materia avrebbero TUTTO IL DIRITTO di sollevare dubbi. In ultima istanza, chi cerca di fare un minimo di critica musicale dovrebbe avere più a cuore gli appassionati di musica che non i fan di un artista. Sarebbe ben più facile attirare le loro simpatie cullando sempre e comunque i loro idoli, anche quando questi coincidono con i propri. Ma questa non potrebbe mai essere una scelta onesta.

...E fortunatamente Fripp, a differenza di Wilson, non mi ha mai fornito grandi pretesti per stroncarlo sonoramente... ;o)

Mopy (ha votato 6 questo disco) alle 19:19 del 20 marzo 2011 ha scritto:

ecco perchè non sarò mai un (buon) "critico"

Apprezzo il tuo tentativo di voler analizzare il disco tenendo in considerazione anche i nostri punti di vista, ma alla fine, lungo tutto il post, credo prevalga comunque una tua "deformazione" di fondo, che poi è quella del critico musicale nel senso in cui lo si intende comunemente. Non ti assicuro di essere breve, ma proverò ad essere chiaro. Innanzitutto, da ex-pseudo addetto ai lavori (in passato io e la "critica musicale" ci siamo sfiorati un po' per gioco, ora invece siamo due rette parallele a tutti gli effetti), sorrido di fronte ai fiumi di liquido seminale che i "critici" sprecano presi dall'ossessione di dover per forza etichettare questo artista o questo genere (prendila come critica al sistema, non personale). Intendiamoci, a mio avviso, è giusto per una questione di correttezza e completezza "storiografica" (del resto anche i libri sono classificati per genere); ma nel momento in cui la catalogazione diventa un pretesto per attribuire giudizi di merito e di valore, allora sono io a trovare questa cosa "eticamente" ingiusta. Quanto più che i confini tra mainstream e indie (salvo i casi di artisti che si producono davvero con 2 soldi - più indie di così si muore) mi sembrano sempre più labili. Lo stesso termine “alternative” mi pare stia diventando sempre più onnicomprensiva: praticamente è sufficiente non suonare come i Bon Jovi per essere “alternative”. Questo per dire, nel caso specifico, che va bene tener presente la figura e l'universo artistico di Steven Wilson; i confronti andrebbero fatti al fine di informare il lettore/ascoltatore su cosa deve aspettarsi non solo da ogni album (come normalmente si farebbe per un “comune” artista), ma anche da ogni specifico progetto che egli ha intrapreso. Fin qui, a mio avviso, ci siamo. Nulla da dire. Comincio a storcere il naso, invece, quando si prende un progetto in particolare (es. i Porcupine Tree) e lo si assume come termine di paragone artistico nei confronti di tutto ciò che viene fatto dopo dallo stesso artista. Magari mi sbaglio (e per certi versi lo spero), ma traspare quasi l'idea che anche il miglior disco dei Blackfield (e come dicevo nel mio post precedente, il primo album secondo me è un gioiellino, il migliore anche a livello di produzione) non potrebbe reggere il confronto con il peggiore dei Porcupine Tree, per il semplice fatto che il progetto “Blackfield” avrebbe meno pretese dal punto di vista artistico. E' meno ricercato, più easy-listening, insomma “pop” in tutte le accezioni possibili del termine. Come a dire: “Steven Wilson non può e non deve fare roba del genere. Proprio perchè è Steven Wilson”. Come dicevi tu “un progetto di un artista poliedrico deve servire a definire l'artista stesso nel suo insieme”. Ecco Steven Wilson, da artista poliedrico, sa essere prog, psichedelico, ambient, ma anche pop. Che poi un suo disco pop possa non piacere ci sta, ma non deve essere una sorta di “macchia” a prescindere, per il semplice fatto di essere pop. Proprio perchè Steven Wilson è anche questo, e non è detto che non possa fare cose pregevoli anche in quell'ambito.

Quindi, mi chiedo che senso abbia, per un musicista, diversificare il proprio percorso artistico se non per diversificare la proposta musicale in senso stretto. Mi spiego meglio: a che pro un disco dei Blackfield o dei No-Man che suoni esattamente come un disco dei Porcupine Tree? Tanto vale impegnarsi in un solo gruppo e cercare di riversare tutte le proprie idee su questo. E perchè partire dal presupposto che, nel momento in cui le pretese artistiche di un side-project sono palesemente inferiori rispetto a quelle del progetto principale (famoso per la propria ricerca “sperimentale”), il disco debba essere per forza di qualità scadente? Che io stesso ritenga “Welcome To My DNA” inferiore alle mie aspettative è un caso, ma ho letto spesso recensioni poco clementi nei confronti dei Blackfield per il semplice fatto che Steven Wilson si fosse prestato al pop (sacrilegio!). Manco avesse fatto dischi sul livello di “Scream” di Chris Cornell. Ecco per intenderci, inizialmente l'idea di Cornell in veste R&B mi stuzzicava, il problema è che il disco secondo me è davvero brutto! Non è che sono rimasto deluso perchè non suonava come “Badmotorfinger”. In quanto a Robert Fripp, chi ti dice che da una collaborazione con Biagio Antonacci (!!!) non possa nascere comunque qualcosa di dignitoso? Diverso, sicuramente, e come è giusto che sia, ma degno almeno di una considerazione scevra dai pregiudizi che può comportare l'accostamento dei due nomi. Tu invece sei partito direttamente dal presupposto che, da fan, non bisognerebbe essere indulgenti nei confronti di un progetto del genere. Perchè una collaborazione con Antonacci sarebbe un “tradimento”, a prescindere dalla reale valenza artistica del progetto, considerata magari a posteriori. Ritornando a “Welcome To My DNA”, vale la pena forse ribadire che il contributo di Wilson in questo caso è insolitamente minimo (credo siano massimo 3 i brani con la sua firma), e da estimatore anche delle doti compositive di Aviv Geffen, mi dispiace che il disco suoni un po' scontato in alcuni punti. Ma mi auguro sia soltanto un fattore contingente. Ora mi fermo, ad essere sincero non ricordo nemmeno se ho toccato tutti i punti di cui volevo parlare, il post è troppo lungo. Chiudo consigliandoti di approfondire, almeno a livello “concettuale”, il personaggio Aviv Geffen. Per popolarità entro i patrii confini lo paragonavo a Vasco Rossi, giusto perchè al momento non mi viene in mente una figura simile (ma sicuramente ce ne saranno), ma non ha niente a che vedere con gli eccessi da “ribelle” per la serie: sesso, droga e rock'n'roll. Anzi, lui forse è stato un “ribelle” nel senso più vero del termine, rifiutando il servizio militare in Israele e rischiando la vita pur di portare il proprio messaggio. Insomma, non il classico bamboccio caro ai media.

swansong alle 10:28 del 22 marzo 2011 ha scritto:

Ecco...Mopy, per me, ha colto nel segno...

Fra due post così "voluminosi" ( e ottimamente argomentati) alzo bandiera bianca.. Dai, scherzo, in realtà sarebbe inutile per me replicare poichè, a parte il voto - che non metto perchè ancora non ho ascoltato il disco - mi sento di condividere al 100% il pensiero di Mopy, ma naturalmente aspetto molto volentieri altre rece dell'ottimo Stefano..quanto al resto, passatemi la banalità, auguro a tutti noi buona musica (a prescindere da etichette e catalogazioni)

Utente non più registrato alle 13:43 del 14 dicembre 2012 ha scritto:

Con una buona dose di pazienza ho letto ed apprezzato il lungo intervento di Mopy, con cui mi trovo sostanzialmente d'accordo. Il voto a questo disco è francamente esageratamente "punitivo". Dei tre dischi dei Blackfield, questo è sicuramente il più debole, ma, a mio parere, proprio per il fatto che Wilson ha dato un apporto MINIMO... Non è un caso che poi abbia deciso di abbandonare questo progetto...Cmq i primi due, soprattutto il primo, sono due piccole gemme.