Blackfield
Welcome To My DNA
BlackField, per chi non lo sapesse, è il nome dato alla collaborazione di Steven Wilson (c’é bisogno di presentarlo?) e il musicista israeliano Aviv Geffen (pare sia una star in patria). Il progetto giunge al terzo capitolo, pur senza mutare sostanzialmente le sue coordinate sonore: si tratta di un pop-rock, raffinato certamente, molto melodico e orchestrale, desideroso di rifarsi agli XTC, ma alla fine piuttosto dolciastro e ben lontano dalle altre avventure di Wilson. Qui, ancora una volta è protagonista lui, tenendosi ben stretto il ruolo di lead-singer (che cede, forse malvolentieri, in un solo episodio): non aspettatevi introspezione o anche una soave psichedelia. Si tratta di pezzi “facili” (addirittura più facili delle pagine più leggere dei Porcupine Tree: vedi la vituperata Lazarus dal vituperato “Deadwing”) e fatti per catturare ad un primo ascolto, privi di qualsiasi elemento di approfondimento o di “vertigine” tecnica (se amate gli assoli di Wilson, qui non ne troverete).
Pur essendo pregevole il lavoro di orchestrazione, la sensazione che “Welcome To My DNA” sia un’opera frettolosa costruita più che altro al mixer, buona per colmare il vuoto fra l’ultimo album dei PT (“The Incident” del 2009) e il nuovo lavoro solista di Wilson (previsto per Settembre 2011) e certamente ottima per cercare nuove entrate, senza faticare troppo. Molto mestiere, poco cuore. Degne di nota giusto una Go To Hell che, nel canto che reitera il titolo, sembra strizzare l’occhio ai Radiohead (ma mantenendosi a distanze artistiche chilometriche), On The Plane (fra le melodie meno banali del disco), l’impeto introverso di Blood e le luminose aperture di Zigota (il miglior brano del lotto). Persino per la copertina è stato riciclato un artwork non utilizzato dai Marillion. Un gioco al risparmio, sotto molti punti di vista. I BlackField non hanno mai fatto risiedere la propria eccellenza nella ricerca sonora; eppure qui e lì, qualche piccola gemma l’avevano anche prodotta (da ricordare almeno l’intensa Glow sul primo album). Ma è veramente difficile comprendere come non abbiano trovato nulla di meglio di una Oxygen, che sembra quasi rifare il verso agli Asia (!) o una Rising Of The Tide, quasi irritante nel ricordare le cose peggiori di certe band americane di FM Rock Anni ’80. Da attacco di diabete.
Francamente non saprei come indorare la pillola e consigliare un disco del genere: molti dei die-hard fan di Wilson l’avranno sicuramente già preordinato. Ma credo che anche coloro che apprezzano i Porcupine Tree, amandone tanto i primi psichedelici periodi, quanto le tinte fosche di lavori come “Fear Of A Blank Planet” o “The Incident”, difficilmente possano trovare concreti motivi di godimento in questi pezzi piccoli piccoli (non solo per la durata). Che Aviv Geffen abbia un seguito così consistente da poter tornare utile, per una qualche strategia di marketing musicale, anche a Wilson? Non saprei: sicuramente avranno fatto bene i loro calcoli anche, evidentemente, in virtù delle sostanziose vendite dei precedenti due capitoli di questa esperienza congiunta. Chi ama veramente l’alternative-rock può fare tranquillamente a meno di un disco innocuo come “Welcome To My DNA”.
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