Cordepazze
Larte della Fuga
I siciliani Cordepazze (nome pirandelliano che rivela la loro origine) li abbiamo conosciuti nel 2008 sul palco del Teatro Ariston di Sanremo, invitati alla Rassegna della canzone dautore organizzata dal Club Tenco a presentare il loro disco desordio, I Re Quieti. Un lavoro sorprendente per qualità di scrittura, così come sorprendente fu la loro esibizione su quel palco importante. Ci si aspettavano quindi grandi cose da loro, già vincitori del Premio Fabrizio De Andrè nel 2007, e del Premio della Critica a Musicultura nel 2009. Invece, fino allo scorso mese, ne avevamo perse le tracce. Li ritroviamo oggi, con questo atteso secondo disco, in ottima forma, e con qualche cambiamento nella formazione. Non cè più infatti la tromba di Davide Severino, che così preziosamente colorava i brani nel disco precedente, e aumenta lo spazio da una parte per i suoni elettrici ed elettronici delle tastiere di Michele Segretario, e dallaltra del violino di Francesco Incandela. Su tutto però spicca ancora la voce davvero molto bella di Alfonso Moscato, tratto distintivo della band, che con le sue doti interpretative sa dare alle canzoni un grado di emozionalità in più.
Ma larma vincente della band è il suo saper stare sapientemente in equilibrio tra musica pop (nel suo significato più alto) e testi intelligenti, attenti a quanto succede intorno a noi. Esempio principe di questa capacità è il brano scelto non a caso come primo singolo, La Rivoluzione, dove, su una base musicale dai suoni elettronici, si dispiega lironia acida e dissacrante del testo, per descrivere un paese in cui la rivoluzione la si perde al televoto, e tutto ruota intorno alla pubblicità (lancio in promozione questa mia canzone inutile per la rivoluzione). Sarebbe un hit single, se le politiche dei network radiofonici nazionali fossero più attente alla qualità delle canzoni. La stessa sorte meriterebbe Ora Pro No, un brano tutto basato su giochi di parole e frasi che si completano cambiando di senso. Un brano musicalmente perfetto e dal testo splendido, il probabile hit single che, stante le politiche dei nostri network, non sarà mai. Network che si prendono la loro dose di ironico dileggio in Digos (imparare a vendersi per far lavorare i network), un brano che parte acustico, voce e chitarra, per poi aprirsi allelettricità, dove lironia è costruita con giochi di parole a contrasto tra loro, per una visione critica a trecentosessanta gradi, che colpisce anche il mondo dei media italiani.
Come già nel disco desordio, anche in questo lavoro colpisce luso intelligente e originale della lingua italiana, che riesce ad essere colto senza essere elitario, come nella ballata rock elettronica LArte Della Fuga, e che non si fa scrupolo di affondare il coltello nel ventre molle delle bassezze del nostro paese usando un linguaggio crudo quando serve, come nellelettro pop veloce e ritmato di SvendiMilano (povera Italia, delusa e tradita, in preda al vomito, patria mia distrutta, figlia di puttana per due soldi). Sempre molto originali anche gli arrangiamenti, che passano dal pop allorchestrale, come nella splendida Quello Che Vorrei, una ballata con un bellissimo violino in chiusura, e soprattutto in Gli Scienziati Americani, pop a cavallo tra archi e musica elettronica, che si apre in un finale gioioso, per poi chiudersi con il solo piano, così come era iniziata. Arrangiamenti davvero molto riusciti e mai banali, brani orecchiabili che catturano al primo ascolto, passando dal pop al rock alla canzone dautore, e testi che colpiscono per una critica sociale raffinata, mai sguaiata e sovente tra le righe.
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