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R Recensione

7,5/10

Florence + the Machine

How Big, How Blue, How Beautiful

Consentitemi una digressione. Del genio di Paul Epworth, il produttore per eccellenza del nuovo millennio sia in termini di riscontri mercantili che di qualità tecniche, non si può certo lamentare una mancanza di esposizione. Celebratissimo ovunque per un eclettismo forse senza pari (i 4 grammy vinti per il suo lavoro con Adele non possono oscurare un curriculum che spazia dall'indie-rock britannico al neo-soul d'oltreoceano, dall'hip hop al synth-pop, senza considerare la fittissima attività di remixer), capace altresì di imporsi come autore e strumentista, il londinese ha plasmato la musica dell'ultimo decennio come pochi altri. Neppure il web italiano “musicaloide” è rimasto immune al suo fascino, anche se – e qui sta il nocciolo del discorso – alcune fra le voci più autorevoli che animano quest'ultimo sono state assai selettive nel citare gli artisti che di Epworth hanno ottenuto i servigi, quasi a voler restringere il campo d'azione di Paul ai propri “protetti”. E se, quindi, si sopporta la partnership con Adele per via di Rolling In The Deep, meglio non far parola dei brani co-scritti e prodotti per FKA Twigs, Crystal Castles o Annie, evidentemente fonti d'imbarazzo.

Pure sul suo lavoro con Florence Welch vige un inspiegabile silenzio, quasi che album come “Lungs” (2009) o “Ceremonials” (2011) non siano manifestazioni – e tra le più originali, aggiungerei – del suo talento. Per quest'ultimo, in particolare, avevo già messo sul piatto i miei due centesimi quando, recensendo Jessie Ware, confrontai il suo progetto con quello di Welch + Epworth e notai come questi ultimi avessero “escogitato una nuova, barocca forma di wall of sound partendo da gospel e pop corale '00s”. Sorvolando sul giustamente vituperato vezzo dell'autocitazione, credo ci sia del buono in quell'affermazione. Così come credo ancora nella bontà di “Ceremonials”, nel suo magnetismo difficilmente inquadrabile, nei suoi “pieni” stordenti, nei suoi richiami pop-celtici avvolti in atmosfere gothic.

Nel nuovo album targato Florence + The Machine, “How Big, How Blue, How Beautiful” (Island, 2015). Epworth co-produce e co-firma solo la conclusiva Mother. Probabilmente l'episodio più singolare degli undici proposti, il brano esordisce in sordina con un breve lick di chitarra riverberata, drum machine, poi quello che sembra un brevissimo micro-sample di ottoni in chiave soul (con un po' di fantasia potrebbe ricordare l'incipit di una canzone di “Screamadelica”); quando irrompe la voce il groove s'accartoccia, aprendosi poi a raddoppi corali fino al ritornello catartico, col distorsore a manetta, e sfociando infine in un coda space-rock di quasi due minuti.

Inevitabilmente, la decisione di fare a meno di Epworth risponde a precise scelte estetiche. Questo è infatti un lavoro più rabbioso/essenziale di “Ceremonials” e, al tempo stesso, meno fiabesco/naïf di “Lungs”: il senso di catarsi del primo viene convertito in tortuoso/ribollente calvario mai così rock, laddove l'aplomb fantasy del secondo “matura” in storytelling mai così adulto. Ecco che una personalità come Markus Dravs – scelto a dire della Welch per il lavoro svolto su “Homogenic” di Björk ma, con tutto il rispetto, sembra che a pesare siano state le più recenti collaborazioni con Arcade Fire, Mumford & Sons e Coldplay – appare come la più adatta per questo mutamento di prospettiva. Mutamento che si è dimostrato ancora una volta vincente: l'album esordisce in testa alle classifiche di ben otto paesi tra cui – ed è la prima volta per i Florence + The Machine - gli Stati Uniti.

Il primo singolo What Kind Of Man, pubblicato a Febbraio, pare l'ideale raccordo tra passato e presente: il tumulto interiore dell'egocentrica/self-absorbed Welch che dalla mitologia deflagra nella nevrosi, supportato in musica da un cerimoniale che ha nell'impasto di ottoni e pop-rock graffiante il suo punto di forza. Ancora meglio fa' il secondo singolo Ship To Wreck, forse memore dei 'Til Tuesday pur essendo Florence + The Machine al 101%. Le orchestrazioni (ancora gli ottoni della Title Track, gli archi gentili che introducono l'altrimenti esplosiva e “stevienicksiana” Queen Of Peace) sono presenti ma mai “portanti”, nel senso che il cuore di questi pezzi è la band (l'esplosivo gospel di Delilah, la soffusa e bluesy Long & Lost), con la differenza che Florence Welch è in missione per conto di se stessa. Eppure, quando sulla scena la tensione si stempera nella coralità gioiosa dei suoi momenti più classici, come avviene nel già indimenticabile trittico Caught - Third Eye - Saint Jude, con quell'ugola squillante a dettare legge e tutt'intorno un fiorire di partiture (Glastonbury docet), ci si accorge una volta di più che alla rossa si finisce col perdonare (o perlomeno condonare) ogni mania di grandezza.

V Voti

Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 8 voti.
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NDP88 4/10
Soul-Pop 6,5/10
Clabbio86 7,5/10

C Commenti

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pantabellidiritti (ha votato 9 questo disco) alle 10:09 del 13 luglio 2015 ha scritto:

Buongiorno a tutti, rilascio il mio primo commento su questo sito con piacere, dato il disco in esame. Amo Florence in tutto e credo che con questo album abbia raggiunto la definitiva maturazione. A mio parere l'album merita minimo un 8.5: molto tecnico ma caldo ed intimo, pomposo senza risultare snob e pretenzioso, rilassante ma anche esaltante (vedi Delilah"). Consiglio: ascoltate l'edizione deluxe, contiene due ottimi brani come "Hiding" e "Make Up Your Mind" che alzano di netto il voto complessivo dell'opera.

loson, autore, alle 17:30 del 13 luglio 2015 ha scritto:

Hiding altro bel pezzo, sì. Make Up Your Mind mi piace meno, te lo confesso. Benvenuto su SdM, passa più spesso.

pantabellidiritti (ha votato 9 questo disco) alle 17:09 del 15 luglio 2015 ha scritto:

Grazie del benvenuto! Leggevo già da un bel pezzo questo bel sito; finalmente ho deciso di iscrivermi per commentare qua e là! A presto!

LucaJoker19 alle 18:36 del 13 luglio 2015 ha scritto:

complimenti per la recensione , ma tu sei una garanzia assoluta , dato che ho apprezzato l'immensa riflessione che hai fatto su Voodoo di D'Angelo.. epica

loson, autore, alle 22:35 del 13 luglio 2015 ha scritto:

Sei molto gentile, grazie. Generalmente sono piuttosto critico verso quello che scrivo, ma l'articolo Voodoo/D'Angelo è una delle cose di cui vado più orgoglioso.

LucaJoker19 alle 22:43 del 13 luglio 2015 ha scritto:

non è solo gentilezza. sono il primo a criticare chi non sa fare il suo mestiere, così come a lodare chi ha un grandissimo talento.. comunque secondo me molte cose che hai scritto, il buon D manco le aveva pensate durante il progetto ma è sempre bello allargare gli orizzonti.. mi fermo con gli ot

loson, autore, alle 22:54 del 13 luglio 2015 ha scritto:

Eheh, beh forse ne aveva pensate altre, differenti dalle mie. In ogni caso credo che quello del recensore sia un ruolo "attivo", di interpretazione e integrazione rispetto a quanto proposto dall'artista. Fornire il proprio punto di vista, ecco.

loson, autore, alle 22:55 del 13 luglio 2015 ha scritto:

P.S. Non che io mi consideri "recensore" alla pari di tanti altri talenti ben più competenti di me, sia chiaro.

REBBY alle 23:33 del 13 luglio 2015 ha scritto:

Tu hai un grande dono Los, fai sembrare ancora più belli i dischi di cui parli (persino certi "discacci" eheh).

Felice della tua ricomparsa