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R Recensione

7/10

Hayley Williams

Petals For Armor

Calato dall’alto, senza contestualizzazione, sembra quasi un fulmine a ciel sereno. Per meglio comprendere la dimensione in cui si muove l’esordio solista di Hayley Williams, invece, è necessario fare due passi indietro e uno di lato. Che la voce dei Paramore non fosse più la scatenata teenager delle hit pop punk spaccaclassifica (ci piacesse o meno, inutile negare che “Misery Business” l’abbiamo canticchiata tutti all’epoca) lo aveva già fatto ampiamente intendere l’ultimo disco della band madre, un sorprendente – e travagliato – “After Laughter” (2017) che si muoveva con inedito coraggio tra alt rock e synth pop. A seguire il temporaneo congelamento della formazione, la necessità di disintossicarsi dall’esposizione mediatica per lenire le ferite del proprio vissuto personale (una brutta depressione, il divorzio dal marito Chad Gilbert): infine l’inaspettata rinascita artistica, lontana dai palchi dei grandi festival, circondata da un manipolo di fidati amici e musicisti. Le stesse modalità di pubblicazione di “Petals For Armor” hanno dell’inusuale: lo si potrebbe quasi definire un’antologia allargata, dato che due suoi terzi (corrispondenti alle prime dieci canzoni) erano stati resi precedentemente disponibili negli EP introduttivi “Petals For Armor I” e “Petals For Armor II”.

Se il cappello introduttivo ha stuzzicato la vostra curiosità, aspettate di ascoltare il disco: un’operetta pop che mantiene la stessa freschezza catchy di “After Laughter” (potenzialmente infinita la lista di singoli estraibili) e, al contempo, dimostra di saper sperimentare in lungo e in largo con le soluzioni strumentali, armonicamente mai banali e scrupolosissime nella resa materica del dettaglio. Dichiara Hayley, a ragione, di aver voluto sporcarsi le mani in prima persona: questa volontà di mettersi in gioco, che nel video promozionale di “Simmer” vede la protagonista irrompere con male intenzioni nella casa in cui vive l’alter ego del vecchio singolo “Told You So”, è ben percepibile non solamente a livello lirico (il viscerale erotismo di “Sudden Desire”, i demoni interiori di “Dead Horse”, il femminino di “Roses/Lotus/Violet/Iris”, la catabasi di “Watch Me While I Bloom”…) ma anche, e soprattutto, nell’eterogeneità dell’idea musicale sottesa al progetto. Già nella summenzionata “Simmer”, brano d’apertura, succede di tutto: su di una linea di basso sinuosa e notturna, al limite del trip hop, Hayley crea una gabbia di rantoli e sospiri, gioca con accenti e onomatopee, si sdoppia, azzarda scavallature di accordi e incroci di tonalità che ci si aspetterebbe piuttosto da una produzione jazz (cui, comunque, il colore delle chitarre sembra occhieggiare). Nessuna paura nell’inoculare in perfetti congegni r’n’b allucinate lallazioni di un’altra dimensione, che li rendono commercialmente inservibili (sul beat fuori sincrono di “Cinnamon” scroscia una cantilena rituale quasi andersoniana): testa alta e barra dritta nel condurre un dream pop jazzato dalle malinconiche screziature radioheadiane, coronato da un grande arrangiamento d’archi (“Roses/Lotus/Violet/Iris”); lucidità nel riversare in un raffinato wave-pop à la Foals una confessione diaristica a cuore aperto, un conclusivo messaggio di speranza (“Crystal Clear”).

Petals For Armor”, tuttavia, non è solamente il colto azzardo di una finta debuttante di lusso: Hayley, come detto, è prima di tutto capace di comporre e interpretare grandi canzoni pop, finanche sfacciate e fragorose (i trionfanti lustrini di una “Pure Love” che l’ultima Gwen Stefani non ha voluto o saputo scrivere: lo spudorato allure ottantiano della cassa dritta di “Sugar On The Rim”), a tratti sin troppo facilone (gli echi eurodance di “Over Yet”), ma sempre dotate di una propria precisa identità. La preferenza di chi scrive va alla doppietta “Dead Horse” – “My Friend” (la prima un calypso travestito da perduto tormentone di Cyndi Lauper, la seconda riflessivo midtempo soul dalle inusitate aperture synth pop), ma, lo riconosco, la scelta nel campo è piuttosto libera, sia che si prediligano le puntate più classiche (la splendida resa vocale di una “Leave It Alone” la cui prospettiva black è deformata dalle pieghe ustorie degli archi) o quelle più bizzarre (i filtri vocali nel dimesso pop rock di “Creepin’”). Di tanto in tanto il gioco scivola di mano (volitive le transizioni di “Watch Me While I Bloom”), ma è un rischio che, data la posta in palio, vale la pena correre.

Cosa si prepari ad essere Hayley Williams ancora non lo possiamo sapere, ma “Petals For Armor” è, nel mentre, una piacevole sorpresa.

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