V Video

R Recensione

5,5/10

Kaiser Chiefs

Education, Education, Education & War

Eppure quel “nananananana” su Everyday I Love You Less And Less era simpatico. Di più: le splettrate nu british, quei cori avvinazzati e stonati e il ritmo dinoccolato e serrato erano contagiosi. Per non parlare del videoclip che metteva in scena l’immagine della classica famiglia che troveresti descritta nelle storie di Irvine Welsh. E le riprese che a tratti smembravano l’immagine come se stessimo osservando la realtà attraverso un prisma. Tutta roba buona che i Kaiser Chiefs hanno cancellato con un colpo di spugna ben assestato, lasciando qualche scarto commestibile (Ruby) da dare in pasto agli ascoltatori nei lavori successivi. Oggi dei Kaiser Chiefs d’antan non è rimasto nulla. Quel lampo iniziale di follia – dettato forse dall’adolescenza - è stato spazzato via dalla maturità, dalle divergenze che hanno poi portato Nick Hodgson a lasciare la band per derive soliste oppure - più semplicemente - dalle logiche commerciali in cui Richard Wilson in qualche modo si è impantanato dopo l’esperienza come giurato nella versione british di The Voice. Quello che ascoltiamo oggi è un riflesso pavloviano che ha standardizzato i contenuti di una band già in bilico sulla linea dell’anonimato.

Per intenderci: anche se in passato al posto della loro faccia c’erano tante maschere Pirandelliane, bastava solo mantenerne una congeniale e il gioco – per quanto leziosamente plastico - era fatto. E invece loro hanno optato per il repulisti tout court e sono finiti col rigurgitare quanto di più anonimo e scontato potesse essere partorito: indie rock lievemente macchiato da tinte pop. Education, education, education & war suona come “l’album della maturità” o come l’intento didascalico di voler passare per band impegnata, parafrasando un frase infelice dell’ei fu primo Ministro Tony Blair in un altrettanto periodo storico poco felice per gli equilibri internazionali. Altro passo falso, quello degli intenti polemici, come se i nostri fossero il megafono mediatico del malcontento odierno. Si fanno guida di una rappresaglia politica, della giustizia sociale strillata al microfono, dell’anticapitalismo a tutti i costi, ma inciampano nell’antinomia per eccellenza: il veicolo (la hit music) con il quale conducono la loro crociata è quanto di più prono ai sistemi che criticano. Ed allora tutto perde valenza, compresa la furia distruttrice di Cannons, in cui il quintetto di Leeds tenta una fulminea incursione in territori doom, regalando l’unico breve momento di livide sensazioni. C'è ancora troppa dipendenza agli inni da stadio che più che la funzione di cerniera sociale, sembrano voler svettare sulle classifiche a tutti i costi. Il climax di Coming Home è un esempio lampante, con il suo crescendo prima dell’inciso centrale, pronto a far esplodere un ritornello infarcito di accordi a croce e buoni sentimenti. E i riferimenti ai Coldplay – perlomeno in questo brano – tornano su come i ceci di Natale. Si tenta anche la carta della reminiscenza con Misery Company, che ripercorre quel retaggio che li ha resi celebri, con gli hammond bastardi in prima linea a guidare un tema armonico a sfondo cinematografico. Ma il tentativo di riallaccio ai bei tempi che furono riesce per metà. Troppo distanti i mondi, troppo solcate le divergenze. Le uniche boccate d’ossigeno si respirano sull’iniziale The Factory gates dove la band mostra nervi saldi, al netto di una prova efficace, tetragona e matura, soprattutto per il cantato di Wilson che si destreggia tra le maglie di un registro vocale di ampio respiro. Ironia della sorte, quella di aprire le danze con un pezzo d’impatto, quasi a voler ubriacare l’ascoltatore puntando tutto sullo scatto e niente sulla lunga distanza.

Avete presente quando la campana di Gauss viene usata per indicare il quoziente intellettivo delle persone, e al centro della curva troviamo l’intelligenza nella media? Ecco. I Kaiser Chiefs sotto quella campana hanno arredato una casa. Si sono assestati in quella mediocrità che non per forza deve essere presa come un’accusa o un’offesa. Più semplicemente è una mancanza di tratti distintivi. Contenti loro. 

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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nebraska82 alle 0:23 del 4 aprile 2014 ha scritto:

beh " i predic a riot" era un gran pezzo!

andrea-s (ha votato 6 questo disco) alle 11:07 del 10 aprile 2014 ha scritto:

Poverini si sono persi già da un po'. In Inghilterra sono però primi in classifica.

Leonardo Geronzi, autore, alle 9:55 del 11 aprile 2014 ha scritto:

Va bè....le classifiche sono guidate da altri interessi. Basti pensare che D'Alessio si è piazzato primo nella classifica di Billboard