Paul McCartney
Band On The Run
Lennon il maledetto, Lennon lo sperimentatore, Lennon lo spirito tormentato, Lennon il rocker, Lennon il leader quante ne abbiamo sentite in questi lunghi anni, tutte mezze verità, qualche approssimazione di troppo, molta carne al fuoco e tutti contenti. In fondo anche questo è un modo come un altro per continuare a tenere vivo linteresse. Lennon appartiene al mito e questo non è in discussione, tuttavia qualche altra considerazione è dobbligo, partendo da zero, però, evitando di appiattirci su posizioni già consolidate, spesso figlie di sovrastrutture dogmatiche e che in molti casi non hanno reso giustizia allex bassista dei Beatles. McCartney è ingannevole, e inquadrarlo non è semplice come sembra: mostra un volto da burlone della porta accanto ma in realtà è sfuggente come una goccia d'acqua su una foglia di loto. Non rende pubbliche le sue emozioni neanche nelle sue canzoni (quando lo fa è talmente evasivo da confondere lascoltatore), e ancora: soffre per la prematura perdita della madre ma non sfrutta (almeno in apparenza) il dramma per alimentare il fuoco creativo (al contrario di Lennon). E' il primo dei fab4 a frequentare gli ambienti della fiorente cultura underground londinese, il primo a sperimentare nuove soluzioni sonore con i nastri al contrario e rumorismi vari ma non ostenta pose da intellettuale; si droga ma non si atteggia a sconvoltone (lexploit della famosa intervista di metà '67 merita un capitolo a parte), non è introverso ma nelle interviste lascia sempre i riflettori a Lennon (con qualche eccezione), preferendo limitarsi alle considerazioni tecniche per il lavoro da promuovere.
Paul McCartney è come una moglie: spesso ha dato la netta impressione di tenere lui le redini della baracca ma lascia il proscenio a Lennon e la sua parlantina carismatica. In fondo è Macca a disegnare le prime linee guida quando favorisce lingresso di George Harrison nei Beatles, e con il passare degli anni la sua leadership allinterno del quartetto crescerà a dismisura fino a raggiungere lo status di Comandante da Revolver/Sgt. Pepper in poi.
McCartney è stato lanima dei Beatles fino agli ultimi giorni, quelli del rompete le righe dopo il White Album: senza il suo inesauribile entusiasmo non ci sarebbe stato Abbey Road (ma non solo). Questa lunga premessa non ha lo scopo di elevare agli onori divini leroe di turno, è solo il tentativo di collocare nella giusta luce una personalità molto più complessa di quanto si possa immaginare e che addirittura sembra anteporre i Beatles alla sua vita privata.
La fine del quartetto è per lui uno choc vero e proprio dal quale sarà difficile riprendersi: si trasferisce nella sua fattoria in Scozia nel mutismo più assoluto, il look agreste e trasandato di chi non ha più stimoli. La ripartenza è un calvario: mette su una band e gira in furgone per le università britanniche (tra rettori increduli di trovarsi di fronte mezza mela dei Beatles) alla ricerca di qualche spazio per suonare dal vivo. I primi Lp e 45 giri pubblicati vendono per inerzia ma sembrano non soddisfare appieno lo stesso autore, vieppiù frastornato anche dagli insulti veri e propri (ingenerosi ed immeritati) che giungono da oltreoceano, mittente lex fratello John Lennon (How Do You Sleep?).
Solo nel 1973, sulle ali del successo per il singolo portante della soundtrack di 007/ Live and Let Die, ritrova lentusiasmo, il guizzo creativo che lo ha sempre contraddistinto, coglie lattimo e vola in Lagos Nigeria insieme alla moglie Linda Eastman e il chitarrista Denny Laine (ex The Moody Blues) per registrare il suo quinto album solista, il terzo con la band degli Wings: Band On The Run.
Gli studi EMI della città nigeriana non offrono il top dellavanguardia tecnologica, un dettaglio che non spaventa gli avventori: il trio non necessita di orpelli e sofisticatezze (con loro cè anche Geoff Emerick, uno dei sound engineer storici degli scarafaggi). E lo stesso McCartney ad occuparsi di batteria, basso, piano/synth e chitarra solista, lasciando agli altri le rimanenti parti di chitarra e tastiere.
Le nove tracce che compongono il lavoro svelano una solidità di scrittura decisamente uniforme rispetto al recente passato, e se è pur vero che le vette raggiunte con i Beatles restano inarrivabili in questo disco cè qualcosa che ci si avvicina pericolosamente: la titletrack, ad esempio, un certosino lavoro di taglia e cuci di tre spunti melodici dalla struttura discorde, per un impasto sonoro composito e multicolore di indubbia consistenza. Jet, un power pop siringato dal sax di Howie Casey (un must per le tracklist dal vivo negli anni a seguire); ancora il tocco leggiadro del sassofonista britannico in Bluebird, ballata acustica con tanto di marchio di qualità ad attestarne il metodo di produzione tradizionale conforme a tutte le Direttive Comunitarie. Il rock scarno e vibrante di Let Me Roll It, così affine alla produzione solista di Lennon con la Plastic Ono Band (anche questo un altro paragone di matrice dogmatica che meriterebbe un capitolo a parte).
Il brioso pop rock di Mrs.Vandebilt - pur privo della levatura dei brani sopraindicati - è uno degli appaganti singoli estratti dallalbum, mentre Mamunia amalgama con apprezzabili risultati dei pizzicati accordi acustici folk con un chorus dalla linea vocale e percussioni di fragranza afro.
Le session africane non scorrono senza difficoltà: dispnee di natura non ben definita, tentativi di rapina, ma più dogni altra cosa un curioso siparietto tra Macca e Fela Kuti. Il re dellafrobeat, in un vis-à-vis a brutto muso, accusa gli inglesi di colonialismo, McCartney per fugare ogni dubbio lascia ascoltare a Kuti i demo dei brani in lavorazione e le acque si placano. Giunge in aiuto anche lex Cream Ginger Baker, già da qualche anno trasferitosi in Nigeria e collaboratore di Fela Kuti (Fela Ransome-Kuti and Africa 70 with Ginger Baker: Live! 1971). Il batterista offre a Macca la possibilità di registrare qualcosa nello studio di sua proprietà situato alla periferia di Lagos, e la band ne approfitta per mettere a punto la traccia più atipica dellalbum. Picassos Last Words (Drink to Me), per dirla con le parole di Mark Lewisohn, è una canzone intenzionalmente frammentata in omaggio al lavoro cubista dellartista spagnolo scomparso pochi mesi prima.
Il brano posto in chiusura è, per buona colpa dello stesso autore, una gemma lasciata nel cassetto del dimenticatoio per troppo tempo. Eseguita sporadicamente dal vivo, poco presa in considerazione per le compilation celebrative, Nineteen Hundred and Eighty Five è un rock n boogie pianistico sulla scia di Lady Madonna, con nulla da invidiare al singolo beatlesiano. Svecchiata nel sound dallinnesto di un synth dal moto circolare e rinvigorita nel finale da un overdub di crescendo orchestrale governato da Tony Visconti, la traccia riassume in sé i caratteri peculiari di un disco che finalmente riuscirà a mettere daccordo pubblico e critica.
Quando poi arrivano, del tutto inaspettati, i complimenti di John Lennon, per Macca sarà festa grande. Linizio di un lento riavvicinamento tra i due dopo anni di veleno.
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