Placebo
Without You I'm Nothing
Quando uscì il debutto dei Placebo, lo comprai per due motivi: mi piacevano sia la copertina che la casa discografica. Della musica non avevo ascoltato una singola nota, ma per quello c'era sempre tempo. Dopo continui ascolti e un pò più di esposizione del gruppo sotto la luce dei riflettori, ero dibattuto tra due dichiarazioni pseudo identiche: "la musica mi piace, ma Brian Molko mi sta veramente sui marroni", oppure "Brian Molko mi grattugia i marroni, ma la musica mi piace".
Non sapendo quale corrente far prevalere, decisi di andarli a veder suonare, agevolato da un loro concerto all'Astoria, a cinquanta metri dal mio posto di lavoro nel lontano 1996. Molko introdusse Nancy Boy dedicandola "al ragazzo che mi sono scopato questa notte", perdendo altri millanta punti nella mia scala di stima personale. E non suonarono neppure particolarmente bene. Formata la mia idea definitiva sull'ensemble, li lasciai a scalare impunemente le classifiche britanniche e a raggiungere un successo dovuto in parte alle indubbie qualità musicali, in parte alla costruzione di un'immagine se non altro piuttosto originale.
Fu così che quando Whitout You I'm Nothing vide la luce alla fine del 1998, il sottoscritto non se lo filò di pezza. Persino la stampa britannica, sempre alla ricerca della next big thing, si stancò velocemente della routine Placebo e lasciò che il disco sopravvivesse grazie ai suoi meriti. A questo punto, fast forward fino a marzo dell'anno successivo, nelle piccole ore del mattino, dentro un taxi che mi sta portando a casa dal lavoro. Le prime luci dell'alba stanno già disegnando i contorni delle case che ci lasciamo alle spalle, io perdo i km con la guancia attaccata al finestrino mentre una manciata di canzoni struggenti si sussegue nell'abitacolo. Chiedo al tassista di chi si tratti, tanto per essere sicuro, e lui risponde come previsto: sono i Placebo. Ah però. Complimenti a loro ed al tassista furbetto, mi dico, conquistato da entrambi. Ho successivamente il tempo di procurarmi il disco e di rendermi conto di ascoltare qualcosa di molto diverso dagli esordi.
Andata è la maggior parte dell'urgenza del primo disco, andata è una certa idea grezza di canzone, andati sono certi atteggiamenti alla chissenefotte. Al loro posto, cambiato il batterista, ecco una collezione di brani estremamente coesi tra loro, pulitissimi anche quando alzano il ritmo, prodotti molto bene, cantati e suonati altrettanto. Persino la copertina finisce per piacermi, un'immagine che trasmette silenzio, abbandono, solitudine: whitout you I'm really nothing... Se l'album d'esordio era una festa senza limiti fatta di sesso e droga, questo è il disco del giorno dopo, quando la testa è sulle giostre e ti rendi lentamente conto dei disastri che hai combinato.
L'attacco di Pure Morning quasi industriale, il ritmo costante a martello, il testo tra il serio e il faceto, donano all'album una presentazione immediatamente riconoscibile, un carattere che in diversi modi si riflette poi lungo tutto l'album: il testo è carico di disillusione, e anche se la musica spinge senza paura, si legge il malessere montante che prenderà spazio nelle tracce successive. Il disco si eleva quando più guarda verso il basso, quando il ritmo rallenta e ti lascia lo spazio per leggere tra le righe: Ask for Answers già puzza di tramonto e abbandono, e non fa altro che introdurre uno dei migliori cinque/sei pezzi della storia della band.
La title track è disperata nella sua impotenza, il lamento di Molko davanti alla fine di una relazione è bidirezionale: le cose vanno male quando ci sei, vanno ancora peggio quando non ci sei ("every time you vent your spleen I seem to lose the power of speech, you're slipping slowly from my reach, you grow me like an evergreen, you never see the lonely me at all", per me il disco poteva finire anche qui e sarebbe stato perfetto). I ritmi si alternano costantemente, ma la sostanza non cambia: che si tratti di odio (the crawl), sesso (every you every me), tragedie d'amore e droga (my sweet prince), ogni traccia è una catarsi verso la liberazione, una purga, il pentimento alla fine della guerra. Alla fine dell'ascolto si esce stremati, rattristati, lambiti da qualche piccolo dolore che non si pensava di avere.Un disco allo stesso tempo tossico e terapeutico, comunque un grande disco.
I Placebo sono diventati enormi in posti come Italia e Francia, vendendo camion di album, trovando l'angolo commerciale della loro musica, senza mai raggiungere il livello espressivo di quest'album che per certi versi può essere visto come il più complesso della band (e quello con il maggior successo nella loro patria adottiva, avendo raggiunto il platino negli UK). Già oggi è unanime il consenso: questo è stato il loro miglior lavoro, per ottenere un risultato simile avrebbero dovuto continuare nella loro strada verso l'autodistruzione, avrebbero fatto di meglio ma sarebbero durati di meno.
Meglio godere del risultato ottenuto dieci anni fa, pescare le chicche sparse nei lavori successivi, e ringraziare il Lussemburgo per essere stato un posto così deprimente per il signor Molko, gotico gay tossicodipendente, al punto di spingerlo a levarsi dalle palle e a fare musica in un altro posto, in un altro modo.
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