The Cure
Wild Mood Swings
In un certo senso Wild Mood Swings puo' essere considerato il The Top degli anni 90 a causa della sua lavorazione travagliata e soprattutto perche' in questo periodo i Cure come band non esistevano piu'. Porl Thompson e Boris Williams alla fine del Wish tour abbandonano amichevolmente la band per seguire altri interessi (il primo si unira' alla band di Page & Plant portando in eredita' "Lullaby"), Simon Gallup e' per diversi mesi ufficiosamente non nella band per i suoi problemi di alcolismo quindi zio Bob si trova a lavorare con il solo Perry Bamonte ed una serie di musicisti per la sua opera per certi versi piu' ambiziosa.
Ricomposta una sorta di lineup recuperando in qualche modo Simon Gallup (il suo apporto al disco sara' minimo), reclutando il giovane Jason Cooper (batterista validissimo, ma dal tocco piu' pesante e meno dinamico del suo precdessore) e richiamando Roger O'Donnell alle tastiere la band per lunghi mesi giace nell'ozio della campagna inglese con mogli, figli, amici e parenti e questo clima rilassato e solare si rispecchia nell'album, ma quello che traspare sono anche incertezze stilistiche e abbozzi di sperimentazioni non pienamente riuscite.
Se "Want" (posta in apertura) e' diventata immediatamente un classico indiscusso della band quello che lascia scioccati e' il pop a volte facilotto di "Mint Car" (sorellina di "Friday I'm in love"), "The 13th" (bella canzone dai toni latini suonata con tanto di sezione di ottoni, ma cosa c'entra con i Cure?), "Return" (la migliore del lotto) e delle brutte "Round & Round & Round" e "Strange Attraction"; abbondano le ballate prettamente acustiche di cui si dimostrano sempre maestri ma con risultati alterni "This Is a Lie", "Numb", "Bare", "Treasure" e "Jupiter Crash"; gli espirmenti a volte funzionano (il valzer di "Gone!") altre volte no (l'indecifrabile rock di "Club America").
In generale il disco non brilla per un mixing fatto frettolosamente, per la scelta assurda dei brani messi in scaletta, relegando composizioni infinitamente migliori come b-side: il classico mancato "It Used To Be Me" (in realta' poco piu' di un demo - presente come bonus track nella versione giapponese), la ballata "liquida" "Ocean" e la spumeggiante "A Pink Dream".
Nonostante la superlativa prova canora carismatico leader (sicuramente le sue migliori incisioni), in generale il disco e' lo specchio di una band a pezzi insicura della scelta stilistica da intraprendere anche se le zampate di classe cristallina rimangono, ma dai Cure ci si aspetta molto di piu’.
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