Benjamin Clementine
At Least For Now
Già che ci siamo, smettiamola anche con 'sta storia della musica "Black". Chiamiamola con un nome specifico, "hip-hop", "soul", "funk" e via dicendo. "Nero" - musicalmente - non significa nulla. Erano neri Fela Kuti, Miles Davis, James Brown e Terry Callier. Erano neri (a metà) anche Michael Jackson e Pino Daniele. Il miglior cantautore nero degli ultimi anni (Michael Kiwanuka) arriva dalla bianchissima Inghilterra, mentre la migliore cantante "black" (Amy Winehouse) era bianca. Evitiamo le classificazioni, ed eviteremo i fraintendimenti. Esiste il bianco, esiste il nero. Esiste il fondamentalista, esiste il musulmano. A Parigi, l'altro giorno, quello sdraiato sul selciato con un proiettile in testa era musulmano. I due terroristi morti pochi giorni dopo, erano francesi come le loro vittime. Un martire per Dio, due martiri per Allah e un lago di sangue come risultato. Nientaltro.
Va beh, non è questo il luogo. Comunque, Benjamin Clementine è naturalizzato francese, è nato a Londra, è nero ma non è per niente black. Per lui fu subito pronosticato un successo simile a quello di Adele, visto lentusiasmo con cui fu accolto il suo primo Ep (Cornerstone, uscito quasi un anno e mezzo fa) e laltrettanto entusiasmante performance al Jools Holland. Le aspettative furono ampiamente confermate dall Ep successivo (Glorious You). Questo il prologo, con tutto il solito corollario di attesa creata che va tanto di moda.
Per non rischiare nulla, lalbum desordio At least for now recupera il meglio dei due Ep. Cè Cornerstone, che è una pioggia di pianoforte e voce, caratterizzata da un timing pazzesco (come se Nina Simone lasciasse il pianoforte a Philip Glass) e da una voce magnifica, prepotentemente nera eppure tanto pop. E a proposito di pop, London (anchessa già presente sul primo Ep) è arrangiata come un pezzo di moderno rn'b per poi trasformarsi in un numero vocale strabiliante, una specie di incontro tra laccessibilità di John Legend e le corde vocali della solita Nina Simone (impressionate la similitudine del timbro vocale durante il chorus). Dal secondo Ep vengono invece recuperate la cavalcata Adios (e qui siamo davvero dalle parti di Sinnerman) e la splendida Condolence, tutta giocata sui contrappunti ritmici e la solita, meravigliosa, voce tenorile. Perché tra le dichiarate influenze di Clementine cè anche il nostro Lucianone Pavarotti. E qui arriviamo al lato bianco: le ballate scarne per piano e voce tanto care a Anthony & The Johnsons (The People and I, Gone), il piacere della nota pianistica sospesa come fosse opera di un moderno Erik Satie (Quiver a Little) e, spingiamoci oltre, un valzer scalpicciante idealmente accostabile a Yann Tiersen, sebbene si apra poi in un brano pop molto ampio (Nemesis), in grado di sfondare qualunque classifica di vendita.
Capolavoro bianco e nero allo stesso tempo. Un disco che parte dallafrica (i genitori di Clementine hanno origini Ghanesi), attraversa gli Usa in un soffio di vento carico di jazz vocale, soul e gospel e arriva (con la metropolitana di Parigi) in Europa, ridefinendo la modernità del pop contemporaneo. Togliamoci dalla testa le distinzioni geografiche e culturali ed esse scompariranno per sempre. Come per magia.
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