Broken Bells
After the Disco
Che Danger Mouse al secolo Brian Joseph Burton sia un tassello essenziale nel mosaico dei mercati discografici del 21° secolo è oramai cosa nota. E non perché ce lo abbia detto la rivista Esquire, sia chiaro, ce ne eravamo comunque accorti prestando orecchio alla sua logorroica discografia.
Altrettanto lampante è il suo essere un cavallo di razza quando si parla di fare coppia con altri nomi altisonanti del panorama musicale. Dai fervori soul funk degli Gnarls Barkley, che hanno ipnotizzato orde di ascoltatori con le macchie di Rorschach nel video di Crazy, sino al sodalizio Italiano con Daniele Luppi nellalbum Rome, dove Burton idealizza in musica la sua fascinazione per la grande bellezza della capitale italiana. Insomma un vulcano in piena attività eruttiva. Uno che, per dirlo alla James Hillman, possiede il nobile dono dellaha erlebnis.
Con After the Disco Danger Mouse bissa il sodalizio già avviato nel 2010 con James Mercer (The Shins) ad onor del vero passato quasi in sordina cercando di fondere le sue radici alternative alle influenze più melense del cantautorato indie pop. E sul risultato, a parte qualche certezza, non sempre si può gridare al miracolo.
La prima impressione che si ha una volta posati i piedi sul pianeta Broken Bells, è quella di assistere a paesaggi panoramici ben distinti: da un lato le classiche ambientazioni digitali di Mouse, dallaltro le melodie pop sporcate dal croon di Mercer. Non cè una vera e propria fusione di generi del progetto. Tutto rimane piacevolmente distinto, anche se capziosamente amalgamato.
Il progetto parte allinsegna del didascalismo più puro, ostentato sin dal titolo - After the disco - che sembrerebbe quasi una dichiarazioni dintenti di quello che andremo a sentire una volta spinto il tasto play: un revival di suoni che prendono vita dagli albori dei primi anni 80 e si dipanano lungo tutto il decennio dei lustrini e i capelli cotonati.
Ed effettivamente a testimoniare tale reminiscenza (ed avallare quindi laffaire del didascalismo) sono i synth dellopener Perfect world pescati a piene mani dal Crocket Theme di Miami Vice ed impastati al groove minimale in stile Stereolab. Il tutto spalmato in sei minuti di armonie amorevoli, a far da supporto ad un testo che vive dellancestrale ambivalenza tra pessimismo/ottimismo, tema portante dellintera pasta letteraria di After the disco.
A prestare il fianco a questopera di revival anche Holding on for life, che celebra il matrimonio (ben riuscito) tra una struttura future funk e i coretti in stile Barry Gibb che richiamano con prepotenza il sing a long classico degli Abba. Ed intorno a loro, quasi come satelliti impazziti, tutto un caleidoscopio di citazioni pop soul easy listening che dai pacati toni da ballad romantica (The angel and the fool) passano alle rasserenanti ed amorevoli ninne nanne (Lazy Wonderland) sino ad arenarsi in una pericolosissima deriva pop-rock radio-friendly che tocca il suo picco apicale su Medicine, un colpo di accetta che taglia i precedenti equilibri, spostando lago della bilancia in territori più affini ai The Shine.
E torniamo al didascalico: After the disco non è una dichiarazione dintenti. Non è la volontà di richiamare i fasti di un periodo doro. Piuttosto è linvolontaria velleità di voler a tutti costi riportare in vita dei fantasmi morti e sepolti. E se in alcuni frangenti lesperimento riesce a pieni voti è in seconda battuta, quando i giochi cominciano a farsi ripetitivi, che lorecchio accusa il colpo. Ma dopotutto anche la premiata ditta Mouse/Mercer sapeva già di aver dato alla luce un esercizio di stile senza troppe pretese e ce lo fa sapere a chiare lettere lo stesso Mercer, sul brano di chiusura The Remains of Rock and Roll, quando chiede Is something wrong? You dont look like youre having fun. E se non è coda di paglia questa ..
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