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R Recensione

7,5/10

Evan Parker

The Snake Decides

Ho un cruccio: mi piacerebbe scambiare due parole con Evan Parker, giusto per capire quale tipo di persona può concepire un disco come “The Snake Decides”.

Un disco? Io direi più che altro un'esperienza uditiva violenta. Diciamo che la sua visione della musica sta a quella di un John Coltrane così come Pollock sta a Picasso.

Detto altrimenti: se Coltrane vi sembra complesso (e lo è, “Ascension” ancora oggi potrebbe stendere un cavallo, specie se le sue orecchie sono abituate alla melodia), Parker vi sembrerà uno squilibrato.

Procediamo con ordine: Evan Parker, classe 1944, è fra i primi musicisti europei in grado di razionalizzare e di radicalizzare – facendo ricorso a una violenza espressiva sconvolgente – l'apporto di idee dell'epopea free e post-free americana.

Ecco così che – dopo il capolavoro, un filo più digeribile, intitolato “The Topography of the Lungs”- Evan Parker brutalizza il free jazz e la musica colta del '900, forzandone sintassi, finalità e schemi fino ad abbattere in modo definitivo – e senza possibilità di replica – le fragili barriere che separano la musica dal rumore. Il sassofonista arriva a porre seri interrogativi sullo stesso concetto di musica: perché sono convinto del fatto che un buon 90% abbondante degli ascoltatori occasionali non riuscirebbe a classificare come tale quello che si sente in questo disco, e se ne allontanerebbe inorridita.

The Snake Decides” in effetti è un po' lavoro da iniziati, perché dà forma al silenzio assordante dell'inconoscio, lo materializza in un'aggressione fonica senza precedenti, di fatto quasi inascoltabile per chi non abbia dimestichezza, e da tempo, con idee tanto radicali.

Evan Parker sembra il fratello matto di Anthony Braxton, e ho detto tutto: delle strutture razionali e puntuali mimetizzate nelle complesse trame del musicista di Chicago qui non si vede neanche l'ombra.

Nelle mani del britannico, il sassofono soprano (tornato in auge dopo la rivalutazione coltraniana) si trasforma in un'arma da guerra, nella più grande fonte di creazione degli armonici mai concepita.

Parker entra in loop, e di fatto esegue un lunghissimo assolo privo di interruzioni, su ritmiche insostenibili, tanto caotico quanto affascinante: la sua musica assomiglia a un caleidoscopio di colori siderali.

La title-track tortura i tuoi timpani – per 20 minuti, ininterrottamente, senza dare tregua - con un ricorso parossistico al rumore: identificare frammenti sonori ricorrenti è impossibile, perché Parker conduce di fatto uno studio sulle possibilità fisiche proprie (la topografia dei polmoni) e del proprio strumento, senza preoccuparsi della musica in quanto melodia o armonia, ma solo in quanto suono. Il ricorso a sonorità sgradevoli e brutali, le frasi strozzate e destrutturate fino a perdere ogni identità, i tempi velocissimi, la totale inesistenza di passaggi decifrabili e di pause: tutto contribuisce a rendere “The Snake Decides” uno fra gli esiti più estremi e a-muicali cui sia mai pervenuta non solo l'avaguardia jazz, ma la musica stessa, in quanto tale.

L'attenzione maniacale dedicata al suono e al timbro, anzi alla capacità di un disco di catturare la musica nella sua essenza, emerge con chiarezza se ci si sofferma a considerare il luogo dove il disco è stato registrato, ovvero la Chiesa di St'Paul, a Oxofrd: Parker riteneva infatti che quello fosse l'unico luogo in grado di ospitare una simile performance, e di consentirne una registrazione il più possibile fedele alla dimensione acustica naturale.

Dinstiguere fra loro i vari brani è mero esercizio di stile, che nulla dice circa la loro vorticosa, coloratissima incomprensibilità.

Eppure, chi è dotato di coraggio in dosi industriali, e soprattutto chi ama il rumore, conceda una chance al sassofonista inglese, da più parti etichettato come il musicista più importante – per il suo strumento – del dopo Trane.

Forse non si divertirà, sommerso da fischi assordanti e da un'orgia di note e di armonici sparati alla velocità della luce: ma certo scoprirà che la musica è veramente senza confini.

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Paolo Nuzzi (ha votato 8 questo disco) alle 10:29 del 15 giugno 2016 ha scritto:

Conosco solo The Topography of the Lungs che resta un disco straordinario ed unico per la ricerca sonora che ha saputo portare avanti. Inutile dire che ascolterò anche questo disco con sommo godimento. Ottima recensione, al solito!

FrancescoB, autore, alle 21:00 del 15 giugno 2016 ha scritto:

Grazie Paolo. Questo è ancora più ostico, però se ti prende nel momento giusto è interessante, e veramente unico.

Paolo Nuzzi (ha votato 8 questo disco) alle 10:30 del 9 settembre 2016 ha scritto:

L'ho ascoltato. Ci vuole stomaco e mente aperta per affrontare quasi cinquanta minuti di fischi, sovracuti e bordate soniche disumane, ma alla fine se ne esce appagati. Mai sentito nulla di più estremo e coraggioso sino ad ora. Ottimo Fra'

Giuseppe Ienopoli alle 17:25 del 9 settembre 2016 ha scritto:

... praticamente è una sorta di ordalia!

Più che uscirne "appagati" se ne esce vivi se gli Dei ti sono favorevoli ... qual naufrago dopo un terribile naufragio ... LOL al cubo!

Ma che razza di disco è?! ... io non oso sottopormisicivi, perché lo stomaco proprio a posto non è ...

Nuzzi stai diventando un kamikaze ... avvisa VDGG altrimenti quello abbocca di sicuro! ... ma roba da pazzi ...

FrancescoB, autore, alle 17:31 del 9 settembre 2016 ha scritto:

Beh Parker è stimato da tantissimi colleghi e musicisti, non lo scopro certo io, anzi arrivo con colpevole ritardo

Certo non è musica semplice da digerire, preferisco altre forme di jazz e preferisco altri lavori cui collabora lo stesso Parker, ma questo lo trovo da sempre molto interessante anche per il suo radicalismo senza compromessi.

Giuseppe Ienopoli alle 17:47 del 9 settembre 2016 ha scritto:

... sarà, ma tieni presente che anche il mio orecchio non è educato al jazz come il vostro ... e poi, a dar credito a Nuzzi, sembra che manchino solo le alabarde spaziali di Goldrake ...

Insomma Francesco ... se dovessi proprio decidermi ... che garanzie mi dai?

Facciamo che prima "mi faccio" un ascolto preventivo di "Capitani coraggiosi" di Baglioni/Morandi ...

FrancescoB, autore, alle 18:16 del 9 settembre 2016 ha scritto:

Io e il Nuzzi in 'ste cose siamo un po' estremi, ma non credo di essere così abituato a questo tipo di "jazz". E anzi, come ho scritto ci sono moltissimi dischi in questo ambito che antepongo a "The Snake Decides" senza pensarci un nanosecondo

Ma ecco dal mio punto di vista la musica non deve essere necessariamente "piacevole", ma deve muoversi in mille direzioni diverse. Può anche scovare poesia in 40 minuti di noise capace di far impallidire praticamente tutti i colleghi rock, questa è una roba che per audacia si pone quasi oltre gli esperimenti più oltraggiosi di Chicago. E gli esperimenti sulle possibilità espressive di un mezzo, specie se provengono da un musicista di altissimo livello anche tecnico, per me sono quasi sempre interessanti.

Paolo Nuzzi (ha votato 8 questo disco) alle 18:50 del 10 settembre 2016 ha scritto:

Ahahah! Giuseppe non c'è una regola ben precisa, qui siamo ad un punto di non ritorno: il rumore ed una sua elevazione a forma d'arte. Un ricerca sonora sulle possibilità timbriche ed armoniche dello strumento e dell'apparato fono articolatorio e respiratorio. È un disco molto estremo che va preso per quello che è. Prova ad ascoltare prima the topography of the lungs con quei Fenomeni di Derek bailey e han bennik, poi prova questo. Fammi sapere e ricorda: la mente è come un paracadute: funziona solo se è aperta.

Giuseppe Ienopoli alle 13:50 del 11 settembre 2016 ha scritto:

Domenica ... stamattina ore 10,15, ascolto integrale del pezzo postato ...

Ho evitato le cuffie e ho aperto la finestra per precauzione.

Sconcerto prevedibile ... poi la chiamata del vicino che con tono conciliante mi fa:

- Secondo me, "la cosa" che stai cercando di riparare è solo da buttare! ... hai provato con lo svitol ... ? -

- ... sai che non ci avevo pensato, grazie. -

- ... ma cos'è?! -

- Niente di importante ... è un vecchio paracadute di mio nonno ... è un reperto bellico del '44 abbandonato in campagna da un soldato "alleato" di nome Parker ... evidentemente per la ruggine si è bloccato il meccanismo di apertura ... faccio un' ultima prova nel pomeriggio e poi rinuncio ... -

- ... io esco alle tre, prova subito dopo ... mi raccomando. -

Questo è quanto e non è poco!

P.S.

#Io e il Nuzzi in 'ste cose siamo un po' estremi ...

... vi allego il video di Capitani Coraggiosi ... sembrate voi due che discutete del serpente ... forse vi manca il cabrio, ma in compenso so che Buffoli rassomiglia un po' a Baglioni.

A sentirvi anche i cavalli si sono un po' innervositi ... ma solo nel finale.

FrancescoB, autore, alle 7:29 del 13 settembre 2016 ha scritto:

Giuseppe sarei curioso di conoscere il parere del tuo vicino su Beefheart, Sonic Youth o Albert Ayler: sospetto che il concetto di "non musica" sarebbe tirato in ballo molto spesso. Di solito è il concetto che mi fa drizzare le orecchie: quando sento rimpiangere tutte le presunte qualità della vera musica di solito drizzo le antenne, perché spesso significa che siamo davanti a qualche idea nuova e brillante

Giuseppe Ienopoli alle 16:22 del 13 settembre 2016 ha scritto:

In questo periodo non posso maramaldeggiare con il mio vicino ... è già sotto pressione per il difficile inizio del Crotone senza gioco, senza stadio e con un Nicola di troppo ... e poi la fola del paracadute lo ha lasciato alquanto dubbioso.

Mettendo da parte il facile umorismo, potrei "tirare in ballo" a giusta ragione la problematica dell' inquinamento acustico oppure il masochismo consapevole sulle proprie trombe di Eustachio ... ma sarebbero degli OT da otorino.

Allora ci rimane solo "l' idea nuova e brillante" ...

Il musicista avant jazz o altro ha la libertà di sperimentare ad oltranza, di sconvolgere la topografia dei polmoni, di fare prove di sforzo estremo al malcapitato strumento, ma il tutto dovrebbe restare nella sfera del diletto personale, dello studio e dell' annotazione conseguenziale ... non vedo l' opportunità di documentare su vinile o altro supporto la complessità dei suoi percorsi musicali.

Ma poi mi chiedo e ti chiedo ... chi ha disgraziatamente comprato (sigh&sob!) il disco di Parker ... quante volte lo riascolterà e quante volte di seguito?

Io invece, senza drizzare le orecchie, ho sempre guardato con sospetto gli estimatori dei "prodotti artistici" di nicchia ... comprensibili solo da pochi prescelti o destinatari destinati.

In tal senso e di contra, una eccessiva popolarità del medesimo prodotto ne decreterebbe automaticamente la pochezza di contenuto artistico ... il paradosso come prova dell' ovvio se non è un assurdo lo diventa.

Allora mi chiedo e ti chiedo ... per chi e per quanti ... Parker ha inciso The Snake Decides?

Forse a questo hai già risposto nella recensione ... almeno a rivedere gli highlights ...

- ... per capire quale tipo di persona può concepire un disco come “The Snake Decides”...

- ... un disco? Io direi più che altro un'esperienza uditiva violenta ...

- ... Parker vi sembrerà uno squilibrato ...

- ... sono convinto del fatto che un buon 90% abbondante degli ascoltatori occasionali non riuscirebbe a classificare come tale quello che si sente in questo disco, e se ne allontanerebbe inorridita ...

- ... un'aggressione fonica senza precedenti, di fatto quasi inascoltabile per chi non abbia dimestichezza, e da tempo, con idee tanto radicali ...

- ... la title-track tortura i tuoi timpani - per 20 minuti, ininterrottamente, senza dare tregua - con un ricorso parossistico al rumore ...

- ... dinstinguere fra loro i vari brani è mero esercizio di stile, che nulla dice circa la loro vorticosa, coloratissima incomprensibilità ...

- ... eppure, chi è dotato di coraggio in dosi industriali, e soprattutto chi ama il rumore, conceda una chance al sassofonista inglese ...

- ... forse non si divertirà, sommerso da fischi assordanti e da un'orgia di note e di armonici sparati alla velocità della luce: ma certo scoprirà che la musica è veramente senza confini.

... la musica senza confini o senza musica?!

FrancescoB, autore, alle 17:35 del 13 settembre 2016 ha scritto:

Mi pare un po' presuntuoso stabilire cosa merita di essere documentato, così come mi sembrano sempre un facile escamotage il ricorso al "non è piacevole", o l'evocazione di presunti snobismi ed elitarismi. A me questo disco piace, ma meno di quasi tutti i lavori di Lucio Battisti. Sono snob, sono avant? Sono pop? Come si fa a ragionare ancora in questi termini, caro Giuseppe?

Sarebbe più corretto dire "non fa per me, mi fa schifo", senza scomodare teorie

Giuseppe Ienopoli alle 22:45 del 13 settembre 2016 ha scritto:

Il mio non è stato un discorso polemico e ancor meno presuntuoso, anche se tu lo hai catalogato come tale ... ma colgo il tuo fastidio e capisco che la comunicazione non è pervenuta secondo le intenzioni del mittente ... allora mi darai la possibilità di chiarirlo meglio.

Hai pienamente ragione quando vuoi farmi dire che il disco "non fa per me", ma pensavo di averlo già detto con "il siparietto" della domenica e non ho alcuna difficoltà ad aggiungere che se ci sono dei prerequisiti necessari per l'ascolto di Parker io non li ho di sicuro ... avevo detto anche questo e fin qui siamo d'accordo.

Il senso della mia riflessione di oggi pomeriggio mirava a chiarire semplicemente se il disco di Parker, costituito da 40 minuti di noise/rumore, possa essere considerato prima di tutto un disco per caratteristiche riconoscibili seppure particolari ... la mia conclusione è un chiarissimo no, perché nasce e si sviluppa più come una sperimentazione fine a se stessa del musicista che non opera per esigenze di ricerca musicale ...

... e la spiegazione più circostanziata di questo la fornisci tu nella recensione quando affermi testualmente ... "perché Parker conduce di fatto uno studio sulle possibilità fisiche proprie e del proprio strumento, senza preoccuparsi della musica in quanto melodia o armonia, ma solo in quanto suono. Il ricorso a sonorità sgradevoli e brutali, le frasi strozzate e destrutturate fino a perdere ogni identità, i tempi velocissimi, la totale inesistenza di passaggi decifrabili e di pause: tutto contribuisce a rendere “The Snake Decides” uno fra gli esiti più estremi e a-musicali cui sia mai pervenuta non solo l'avanguardia jazz, ma la musica stessa, in quanto tale."

La tua disamina recensiva è perfetta ed io l'ho letta con attenzione e più di una volta ... il mio unico appunto di divergenza, torno a ripetere, è nell'ultima proposizione di conclusione che sembra rinnegare quanto detto fino a quel punto.

Caro Francesco, mi hai fatto sudare ma spero almeno di non aver aggravato la mia posizione ... salutami Nuzzi.

FrancescoB, autore, alle 9:00 del 14 settembre 2016 ha scritto:

Ma no nessuna polemica Giuseppe, giusto qualche precisazione

Comunque non intendevo rinnegarmi, ma "giustificare" l'apprezzamento per una cosa che pare come a-musicale: in realtà sempre di musica si tratta, per quanto lontana dai nostri canoni estetici e formali più consueti, questo ho cercato di spiegare

In sostanza: non è che apprezzo questo lavoro per sfoggiare un vano elitarismo, ma perché mi piace sul serio. Ciò detto, non passerei tutta la vita ad ascoltare solo roba del genere ecco.

Marco_Biasio alle 19:28 del 21 settembre 2016 ha scritto:

Curioso che un disco del genere sia uscito in un periodo storico così particolare, come la fine degli anni '80. Concettualmente sembra appartenere al decennio precedente, quello di Braxton e dei Borbetomagus. Mi fa strano dirlo, ma persino i Painkiller diventano roba da educande al confronto! Devo ascoltarlo ancora parecchio per capire come e quanto mi piaccia, ma la segnalazione è stata coraggiosa, bravo Francesco.

FrancescoB, autore, alle 20:43 del 21 settembre 2016 ha scritto:

Giusta osservazione Marco

Credo comunque che l'improvvisazione radicale europea - nel merito confesso una discreta ignoranza peraltro - abbia regalato frutti significativi per diverso tempo, sino ai '90. Con il "picco" dei '70: fra Germania (Schoof Bauer Mangeldorff etc..), Gran Bretagna e paesi scandinavi (in parte anche in Italia), non si contano le opere affascinanti. Certo, questa spesso non è musica gradevole, e non vuole esserlo. Ma qui sta buona parte del suo fascino: è un esperimento sullo strumento e sulle sue potenzialità espressive. Musica libera, proposta in una forma diversa da quella americana: volendo, più razionale (meno pathos, meno "cuore", più intelletto, non si lascia nulla al caso), organizzata secondo modalità e idee diverse (la giustapposizione calcolatissima fra gli strumenti). Musica che disegna una fra le pagine più importanti del '900, per quanto mi riguarda, con risvolti significativi anche oggi (Colin Stetson?).