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R Recensione

7/10

Fire! Orchestra

Actions

Sempre più in alto, sempre più ambizioso. Il cammino artistico del Mats Gustaffson bandleader della Fire! Orchestra non sembra conoscere limite alcuno e, dopo l’eccezionale prova di forza del recente “Arrival” (2019), la nuova e più snella formazione a quattordici elementi si rivolge con naturalezza ad una composizione di carattere semi-improvvisato di Krzysztof Penderecki, Actions For Free Jazz Orchestra (1971), originariamente scritta per essere interpretata dalla New Eternal Rhythm Orchestra di Don Cherry. Il tempismo, che parrebbe ideale date le recenti circostanze e – qualcuno potrebbe aggiungere – il meritato exploit critico della Beth Gibbons góreckiana diretta proprio dal maestro Penderecki, viene in realtà tradito dalla cronologia: le registrazioni licenziate per Rune Grammofon risalgono al 2018, quando Krzysztof Pietraszewski, curatore del festival cracoviense Sacrum Profanum, commissionò a Gustaffson l’esibizione per il sedicesimo anniversario della kermesse. Sfida prontamente raccolta, e per di più in un modo del tutto peculiare: pur partendo dalla composizione originaria, che viene comunque seguita nel suo dipanarsi e negli snodi essenziali, la versione della Fire! Orchestra è lunga due volte e mezzo rispetto a quella interpretata dall’ensemble di Cherry (quaranta minuti contro sedici).

È pertanto opportuno, considerato quanto detto, che la valutazione critica complessiva segua due indicatori fondamentali: l’aderenza filologica e la reinterpretazione personale. Impresa non facile, se consideriamo che già nel progetto di Penderecki composizione e improvvisazione dovevano andare di pari passo e, in più, le manipolazioni di Gustaffson si inseriscono con estrema naturalezza nel corpo della composizione. I primi sei minuti – tesi, oscuri, difficili e magmatici come li intenderebbero i Supersilent – sono, senza alcun dubbio, tra gli apporti più originali introdotti dalla Fire! Orchestra. Quando poi, dalla metronomica linea di basso scandita da Elsa Bergman, spuntano con strepito boppistico e volume onomatopeico le trombe di Goran Kajfeš, Niklas Barnö e Susana Santos Silva, ecco che si assiste ad un primo rivolgimento: le trame si sfaldano, gli ottoni baluginano a mo’ di sinestetici lampi noir, il clarinetto di Per Texas Johansson si dissolve nell’aria in pesanti volute. Ad una lunga fase di studio centrale, dove gli asfittici fraseggi morse della chitarra scordata di Reine Fiske vengono stritolati da rulli compressori ritmici, seguono infine un intermezzo ambient di ricarico, la violenta irruzione sulla scena del sax baritono del bandleader (lanciato in uno scorticante triello free jazz con il tenore di Johansson e l’alto di Anna Högberg), una nuova saturazione stallinghiana e, infine, il ritorno circolare al funereo drone dell’organo elettrico di Alex Zethson.

La grandezza di un musicista colto, si dice spesso, sta nel rendere accessibili, se non addirittura facili, pagine di musica originariamente pensate per un pubblico agli esatti antipodi. “Actions” riesce esattamente in questa impresa: tradurre l’esperimento di Penderecki in forme contemporanee che riescano a non sacrificare lo spirito dell’originale e, al contempo, ne esaltino nuove prospettive, nuove narrazioni. Nientemeno.

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