Fire! Orchestra
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Sempre più in alto, sempre più ambizioso. Il cammino artistico del Mats Gustaffson bandleader della Fire! Orchestra non sembra conoscere limite alcuno e, dopo leccezionale prova di forza del recente Arrival (2019), la nuova e più snella formazione a quattordici elementi si rivolge con naturalezza ad una composizione di carattere semi-improvvisato di Krzysztof Penderecki, Actions For Free Jazz Orchestra (1971), originariamente scritta per essere interpretata dalla New Eternal Rhythm Orchestra di Don Cherry. Il tempismo, che parrebbe ideale date le recenti circostanze e qualcuno potrebbe aggiungere il meritato exploit critico della Beth Gibbons góreckiana diretta proprio dal maestro Penderecki, viene in realtà tradito dalla cronologia: le registrazioni licenziate per Rune Grammofon risalgono al 2018, quando Krzysztof Pietraszewski, curatore del festival cracoviense Sacrum Profanum, commissionò a Gustaffson lesibizione per il sedicesimo anniversario della kermesse. Sfida prontamente raccolta, e per di più in un modo del tutto peculiare: pur partendo dalla composizione originaria, che viene comunque seguita nel suo dipanarsi e negli snodi essenziali, la versione della Fire! Orchestra è lunga due volte e mezzo rispetto a quella interpretata dallensemble di Cherry (quaranta minuti contro sedici).
È pertanto opportuno, considerato quanto detto, che la valutazione critica complessiva segua due indicatori fondamentali: laderenza filologica e la reinterpretazione personale. Impresa non facile, se consideriamo che già nel progetto di Penderecki composizione e improvvisazione dovevano andare di pari passo e, in più, le manipolazioni di Gustaffson si inseriscono con estrema naturalezza nel corpo della composizione. I primi sei minuti tesi, oscuri, difficili e magmatici come li intenderebbero i Supersilent sono, senza alcun dubbio, tra gli apporti più originali introdotti dalla Fire! Orchestra. Quando poi, dalla metronomica linea di basso scandita da Elsa Bergman, spuntano con strepito boppistico e volume onomatopeico le trombe di Goran Kajfe, Niklas Barnö e Susana Santos Silva, ecco che si assiste ad un primo rivolgimento: le trame si sfaldano, gli ottoni baluginano a mo di sinestetici lampi noir, il clarinetto di Per Texas Johansson si dissolve nellaria in pesanti volute. Ad una lunga fase di studio centrale, dove gli asfittici fraseggi morse della chitarra scordata di Reine Fiske vengono stritolati da rulli compressori ritmici, seguono infine un intermezzo ambient di ricarico, la violenta irruzione sulla scena del sax baritono del bandleader (lanciato in uno scorticante triello free jazz con il tenore di Johansson e lalto di Anna Högberg), una nuova saturazione stallinghiana e, infine, il ritorno circolare al funereo drone dellorgano elettrico di Alex Zethson.
La grandezza di un musicista colto, si dice spesso, sta nel rendere accessibili, se non addirittura facili, pagine di musica originariamente pensate per un pubblico agli esatti antipodi. Actions riesce esattamente in questa impresa: tradurre lesperimento di Penderecki in forme contemporanee che riescano a non sacrificare lo spirito delloriginale e, al contempo, ne esaltino nuove prospettive, nuove narrazioni. Nientemeno.
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